Begotten - 1991

giovedì 21 ottobre 2010

Perché faccio tutto questo.

Il titolo per la serie "Bellum Omnium Contra Omnes" non deriva direttamente dalla frase di Hobbes, ma da questa canzone. È stata proprio la furiosa grinta della grindcore band inglese a spingermi a scrivere di violenza spassionata mediata da una mentalità antisociale.
Da tempo avevo in mente il personaggio di Cold, solo che era meno realistico di quanto poi è risultato essere durante i racconti. Cold l'avevo disegnato come una sorta di "cattivo dei fumetti", pelato, costantemente con la maglia degli Anaal Nathrakh addosso e armato di due Beretta 92 FS, dotato di tiro precisissimo e di poca pietà.

La Quiete è ovviamente un titolo dovuto alla famosa band Emo Violence di Forlì. Ora come ora non ricordo bene perchè la loro musica mi ispirò a scrivere qualcosa di così poco violento, ed è infatti il progetto più difficile a cui sto lavorando,  e ci impiegherò molto più tempo di tutti gli altri a finirlo.

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse":
Questa è divertente. Mio fratello stava giocando ad Alone in The Dark 4, e un personaggio disse una frase "Ci vediamo al museo, stanza 943" ma io capii male, e sostituii la parola "Museo" con "Inferno". Dopo qualche giorno decisi di cominciare a scrivere qualche cazzata, e mi serviva un titolo per il blog. Mio fratello stava di nuovo giocando ad Alone in The Dark 4, e così mi ricordai. Stanza 4, corridoio "esse" è una sostituzione che trovavo divertente.

giovedì 30 settembre 2010

Bellum Omnium Contra Omnes - 4

Gerald prese il revolver, lo puntò alla sua testa, tirò il cane e fece scattare il grilletto. Click.
Toccava a me.
«Questo gioco mi annoia» si lamentava Louis, sbadigliando. Teneva il gomito destro poggiato sul tavolo, lasciando che la fronte gli cadesse nella stessa mano.
Click.
«Perchè nessuno di noi ha paura?» chiesi, passando la pistola a Louis.
«Hai messo il proiettile?» chiese Gerald, distratto.
Click.
«Insomma, quanto ci mette a sparare?» chiese Louis, mentre faceva per porgere la pistola ad Albert.
«Dà qua» feci io, e gli strappai l'arma di mano. Controllai il tamburo, il proiettile era inserito.
«L'avevi messo quindi...» commentò Gerald, sporgendosi verso di me, buttando l'occhio sul tamburo. Feci girare quindi il tamburo nella pistola e con uno scatto lo riposizionai, passandola quindi ad Albert, il quale mi disse «A me invece fa davvero paura.» disse sincero, mentre puntava alla sua tempia destra.
Click.
«Sta durando fin troppo...» si lamentò Gerald, strappandogli la pistola di mano e puntandosela nuovamente alla tempia.
Click.
«Mi sono stufato.» disse Louis.
«Shhh! Arriva qualcuno.» Alle parole di Gerald, tutti scattammo sui nostri letti, ma nessuno si ricordò di togliere la pistola dalle grinfie di Gerald, il posto meno sicuro in cui potesse stare. Per nostra fortuna, lui si ricordò di nasconderla sotto il materasso.
«Cold!» mi sussurrò Albert «La pistola» mi diceva a bassissima voce per non farsi sentire da Gerald, più che dal nostro sorvegliante «La pistola!» ripeteva sottovoce.
Io, che ero sul letto a fianco di quello di Gerald, cercai di allungare il braccio per recuperare l'arma che ancora sporgeva da sotto al materasso senza farmi scoprire da Gerald, ma lui si girò di scatto verso di me.
«Fermo!» mi disse sempre sottovoce«Rischi di fare rumore e di farci scorpire»
«La pistola!» cercai di essere il più silenzioso possibile, facendo in modo che leggesse il mio labiale.  «Passami la pistola!» il sorvegliante entrò.
«Che succede qui dentro? A quest'ora non voglio casini, chiaro?» Urlò, e la sua voce coprì il rumore che facemmo nell'alzare il mio materasso per nasconderci l'arma sotto, prima che lui riuscisse ad accendere la luce. Un bagliore fastidioso ci piombò addosso, e cercammo di fingere di dormire nel modo più convincente possibile. Tutti tranne Gerald, il quale si infilò le dita in gola e vomitò proprio a fianco al mio letto. «Signore, non mi sento bene» disse con un tono molto convincente.
«Cadetto Witson, che razza di femminuccia che sei! Vai in infermeria a riposare, tutti gli altri, non fatemi tornare qui o vi metto a pulire i cessi per due settimane, sono stato chiaro?»
«Signorsì, Signore!» rispondemmo all'unisono, eravamo tutti in piedi, tranne Gerald.
«Compagnia, riposo. Cadetto Witson, con me.» Si prese Gerald sottobraccio per sorreggerlo e uscì dalla stanza. Spense le luci.
Con il buio, mi fiondai a cercare la pistola sotto il mio materasso. Non c'era nulla.
«Cazzo, cazzo cazzo!» sussurrai, ma Albert e Louis mi sentirono.
«Oddio...» disse Albert.
Louis cercò di parlare «L'ha pre...» ma il sorvegliante ci bloccò urlandoci da fuori.
«Volete fare silenzio teste di cazzo?» ammutolimmo.
Quando il rumore dei suoi passi fu impercepibile Louis fu il primo a parlare.
«Non dirmi che l'ha...» Sentimmo uno sparo.
«Andiamo a dormire...» Propose Louis stesso. «Ci penseranno da fuori a sistemare le cose...» disse stranamente sereno.
«Quel coglione... Domani lo farò a pezzi.» mi addormentai con queste parole fra le labbra.

domenica 19 settembre 2010

Paragonarmi agli uochi toki

Cosa ne pensi della coerenza?
Assurdo volere a tutti i costi sviluppare una fedeltà ad un pensiero o ad una frase mentre tutto ciò che abbiamo intorno ci scorre incontro: vento, persone, luci e ombre, malattie, feste. Una persona coerente a tutti i costi mi fa notare che ieri dissi una certa frase che rappresentava un mio comportamento riferito a certe situazioni, o a certe condizioni che stabilitesi lo stesso giorno in cui quest'uomo mi sta parlando non mi hanno costretto a rispettare la mia promessa fatta a me stesso ma in compagnia di altri. Benissimo, tu mi fai notare quindi che in queste ore durante le quali ti ho confidato il mio pensiero io ho avuto il tempo di mangiare, riposarmi, ascoltare altri discorsi più o meno necessari a sviluppare ancora meglio la mia capacità di interpretare, non assorbire, informazioni, camminare, digerire, defecare svuotandomi le viscere dalle scorie, dormire, mangiare ancora e ascoltare ancora altri discorsi che come prima possono più o meno rendersi interessanti e complementarsi a tutti i miei pensieri sulla vita, la morte, la religione o sulla coerenza che tu mi sbatti in faccia ostentando superiorità, e infine ho anche avuto il tempo di tornare sui miei passi a dirti per caso che ciò che pensavo ieri ora non lo penso più perchè reazioni chimiche e confronti con altre persone che la pensano inevitabilmente in modo diverso da me sono state in grado di dirmi «Ma forse non è tutto qui, caro. Forse c'è dell'altro, non ti fermare, magari potresti crescere.» mentre tu sei solo in grado di riferirmi, che la mia coerenza si taglia come il burro sotto un coltello di maggiore densità, si taglia come un tonno tenerissimo sotto il tuo saggio grissino coerente, ma non ha importanza: di persone così ne ho già abbastanza intorno, e non ho voglia di spiegare ad ognuno di loro presi singolarmente che la mia coerenza si sviluppa su altre basi più solide del pensiero umano, più solide di un grissino, si basa sulla volontà di mettermi sempre in discussione, si basa sul dubbio, sull'errore, sullo sbaglio più o meno volontario, e sono coerente se dopo ogni mia scelta torno indietro sui miei passi a controllare se non ho per caso sbagliato strada, sicuramente se lo facessi tu, torneresti al primo bivio accorgendoti di aver sbagliato ad imboccare la via che intendevi prendere ma poi torneresti avanti fino al punto in cui ti sei reso conto di esserti sbagliato pur di rimanere coerente a tutti i costi. E sono coerente quando sbaglio, non mi impegno nel giudicarmi colpevole, vostro onore, l'imputato si reputa capace di intendere e di volere, e di volere intendere, intendiamoci, intende correggere i propri sbagli di volere, non era sua intenzione, vuole redimersi, intesi? E sono coerente quando ammetto di non esserlo, non sulle cose che per voi sono reliquie come le frasi, come il pensiero umano, no, io non sono coerente per voi, per niente, la coerenza è da vigliacchi impertinenti, io sono incoerente.

venerdì 10 settembre 2010

Sud 1996 - Il libro di Alan

Delirio, che era quasi tutto racchiuso nel mio incessante mal di testa che mi impediva anche di stare seduto, ma fosse stato solo questo il problema non starei qui a lamentarmi con voi. Avrei preso un'aspirina e tutto sarebbe passato presto, no, il vero problema era che non avevo davvero la più pallida idea di dove fossi finito. E c'era il mio amico Phil che mi attendeva sorridendo. "Perché cazzo stai ridendo?" avrei voluto chiedergli e invece mi precedette:
«Dormito bene, Al?»
«E tu chi sei?» gli domandai io.
«... Cosa?» mi rispose, naturalmente sorpreso e divertito da quella domanda
«Non...» volevo continuare ma crollai nuovamente sul letto, distrutto.
«Ehi, tutto bene, Alan?» si alzò dalla sedia su cui stava appoggiato e mi mise una mano sulla fronte «Mmm...» mormorò, prima che gli prendessi la mano e la lanciassi via dalla mia testa. «Sto bene, solo che...»
«Solo cosa, Al? Ti comporti in modo strano oggi...» mi bloccò lui
«Beh, vedi... è una cosa un po' imbarazzante» sorrisi, alzandomi finalmente dal letto «Il fatto è che...» non riuscivo a trovare le parole giuste.
«...che?» mi spronò Phil.
«Ecco, credo di avere un'amnesia.» Non finii la frase che Phil stava già ridendo
«Non perdi mai la voglia di scherzare, Alan, ah ah ah!»
«Dico sul serio, non ricordavo di chiamarmi Alan, non ricordo cosa faccio nella vita, dove siamo e chi sei tu.»
«Che sagoma che sei!» moriva dalle risate, mentre il mio volto era sempre più serio.
«Da sbellicarsi dalle risate, vero?» chiesi un po' amareggiato.
«Non puoi dire sul serio Al! Ti sei dimenticato di me?» Finalmente cominciò a prendere la situazione sul serio, smetteva anche di ridere.
«Beh, sì.»
«Ok, ho capito... Che strana situazione. Oggi ti porterò da un dottore e vedremo cos'hai...»
«Si chiama amnesia, genio!»
«Lo so, stronzo, intendevo cosa l'ha provocata...» si corresse. «A proposito, io sono Phil Brown, il tuo migliore amico...»
«Me n'ero accorto...» commentai io. «Ora dimmi, Phil, dove ci troviamo?»

lunedì 30 agosto 2010

Sud 1996

SUD 1996, naturalmente non è una data, muri bianchi sugli sfondi in tutte le direzioni, in profondità. Luce soffusa e comunque di provenienza ignota, e non vi è ombra di sorta proiettata sul pavimento da me sovrastato. Un balzo, le palpebre che sbattono ed è subito un ritorno alla realtà, percepibile dallo sbalzo fra la luce di prima e le lenti scure dei miei occhiali da sole, utilissimi sotto l'astro cocente del primo pomeriggio. Seduto su una due posti senza capote e legato allo schienale con una cintura di sicurezza e una terribile serie di fitte allo stomaco. Il vento, che scombina i miei capelli e il rumore del motore acceso, e delle ruote velocissime sull'asfalto. «Dove andiamo Phil?» domando al mio amico alla guida del nostro destriero a motore. «Da nessuna parte» risponde lui senza distogliere lo sguardo dalla strada. Non potevo aspettarmi di meglio da lui. Quando la risata beffarda di Philip Thomas Brown conclude qualunque sua frase, ti arrendi: sai che non otterrai chiarimenti da lui, mai. Di conseguenza mi ritrovo ad attraversare  una desolata strada in mezzo a un deserto con i postumi di una sbornia colossale da alcol e psillocibine su un'auto, che potrebbe benissimo essere stata rubata, guidata da un drogato che non so se stia attraversando una crisi di astinenza o è nel pieno del trip, il tutto in piena amnesia. Ah già: è da almeno una settimana che non riesco a ricordarmi nulla sul mio conto. Mi sono risvegliato di notte in un vicolo buio di una città a me ignota mentre un teppista mi frugava nelle tasche della giacca. Aspettai che mi trovasse il portafogli prima di prenderlo per il colletto e urlargli in faccia
«Ehi!»
Non fece in tempo a guardarmi negli occhi che si ritrovò le mie nocche destre stampate sul viso, in rosso. Mi riappropriai del portafogli e mi alzai mentre il ladruncolo, sconfitto, riuscì a svignarsela. Subito dopo incontrai Philip, non lo conoscevo, o almeno non mi ricordavo di lui... Tuttavia il suo codino castano, il suo pizzetto, quella fronte stempiata e la camicia da boscaiolo, tutte quelle cose mi ricordavano qualcuno. In più mi correva incontro come se si fidasse ciecamente di me, chiamandomi con insistenza «Alan! Alan! Corri, presto, dobbiamo scappare!» diceva.
Lo seguii, ed ora mi ritrovo in questa misera situazione. Comunque, salii sulla macchina di Phil, non la stessa che sta guidando ora, ma una Mercedes quasi del tutto distrutta, e la prima cosa che feci fu cercare i miei documenti.
«Che cazzo fai, Alan?»
«Dove andiamo?»
«Eheh... Via di qui!» Mi rispose, e quella sera non parlò oltre. I miei documenti dicevano che mi chiamavo Alan Patrick Daniels, che ero nato da qualche parte ad Atlanta e che portavo i baffi. Calai subito lo specchietto dall'alto e notai che ero identico al tizio della foto nei miei documenti, eccezion fatta per il muso rasato che ho incontrato nello specchio. «Stavi meglio con i baffi» mi sembrò di sentire, ma pur sapendo che non era la voce del mio guidatore mi voltai.
«Cosa hai detto?» gli chiesi.
Nessuna risposta. Forse in realtà ho solo immaginato di parlare,  forse ero io ancora intontito per l'amnesia. Mentre Phil, lo sconosciuto amico che mi chiamava per raggiungerlo nel momento in cui mi sono ricordato di essere vivo, guidava a velocità incredibile con quel catorcio di Mercedes, uno sbalzo mi fece ricordare che le cinture di sicurezza esistevano per un valido motivo, così mi allacciai per bene al sedile, sicuro che anche se la spericolata guida del mio nuovo amico non avrebbe retto ad un qualche tipo di imprevisto come incidenti, strade sdrucciolevoli, o invasioni di cavallette, la cintura di sicurezza mi avrebbe fatto restare sempre al mio posto. Presto decisi che per i miei nervi sarebbe stato meglio non continuare a sforzarmi di guardare la strada: manovre pericolose, frenate improvvise e brusche accelerazioni erano una dura prova per il mio coraggio e per il mio intestino retto, pronto a rispondere alle sue funzioni biologiche per la paura a cui ero sottoposto. Così mi addormentai, cullato da quella guida oltraggiosa nei confronti del buonsenso comune. Mi risvegliai quindi in una stanza di non so quale casa abbandonata, motel o scantinato fatiscente, in preda al delirio.

martedì 24 agosto 2010

La Quiete - Frammenti incollati.

FORSE INCOMPLETO
Sono stata stesa per ore ad osservare tutti i tuoi movimenti, candida frenesia dei sensi, allucinazione dolcissima, piango ancora quando penso che non sei reale.
Scrollandomi di dosso ogni piccola briciola di emozione, ogni residuo di quella notte in cui l'estasi delirante della mia morte mi ha portata in questo fantastico teatro di luci ed ombre, ho scoperto che queste ultime sono entità dotate di vita propria, distaccate dal mondo reale. Esse nel nostro mondo sono soltanto la minuscola parte visibile di qualcosa di immensamente più grande, proprio come la punta di un iceberg.
Perchè si sprofonda nel vuoto. O si diventa parte di un universo infinito, ma infinito per davvero, non è solo una teoria. Non sono ancora certa né dell'una né tantomeno dell'altra possibilità. In entrambi i casi so che è cambiato tutto, e che nulla di ciò che è stato in vita conta più. Adesso c'è tutto.
Adesso non c'è più niente.

lunedì 26 luglio 2010

Bellum Omnium Contra Omnes - 3

bNon ci volle molto tempo prima che qualcuno cominciò ad allarmarsi e a farsi domande:
Trovarono il cadavere della ragazza un mese dopo il fattaccio e tutti parlavano di noi. Naturalmente gli unici che sapessero che fossimo stati noi, eravamo noi 4, per fortuna. Chissà perché, nessuno stava sospettando della scuola militare, e tutti cercavano qualche maniaco ventisettenne alto e con i baffi...
Gli sbirri sono stupidi.
Me lo disse anche Gerald, mentre osservavamo da lontano:
«Ma questi, a cosa cazzo pensano? Se lo avessimo saputo...»
«Avremmo evitato anche la fatica di seppellirla?»
«Mi leggi nel pensiero, Cold!»
E nel frattempo le giornate passavano e così le settimane, i mesi. La polizia non ci venne mai a cercare, e il caso rimase irrisolto. Nel frattempo che le acque si calmavano, io, Gerald, Albert e Louis progettavamo di colpire tutti insieme, questa volta rubando armi da fuoco. Tre pistole, modello Beretta 92 e un fucile L85 (che finì in mano a Louis, per impedire a Gerald di abusarne.)
Così, nascondemmo le armi sottoterra, e attendemmo il tramonto per agire.
Riesumammo le pistole e ci fiondammo in avanti, senza aspettare Louis che stava preparando per bene il fucile. Come prevedevo, Gerald vide per primo la vittima: uno sbirro, alto e ben piazzato, se lo avessimo ucciso, pensai, sarebbe stato il nostro vanto per anni, il nostro trofeo di caccia.
Gerald si fiondò subito su di lui senza aspettare né noi, né il povero Louis che stava tardando ad arrivare.
«Buonasera agente!» Sorrideva
«Ehi ragazzino, vattene!» usò un tono annoiato e rabbioso insieme.
«Ma perché mai? Io... io non ho fatto proprio niente!» rideva già di gusto, mentre il poliziotto stava cominciando ad arrabbiarsi.
«Mi hai scocciato, cazzone. Ti faccio vedere io cosa significa prendersi gioco di un...»
«Ehi sbirro!» tuonò Louis dalle sue spalle.
«...Chi...» non ebbe il tempo di girarsi che si trovò il calcio del fucile di Louis scaraventato sul suo sporco muso da sbirro, cominciò a sanguinare prima di cadere a terra. Cercò di prendere la radiolina alla sua cintura e a quel punto gli fermai la mano con il piede sinistro, cercando di stritolargliela spostando tutto il mio peso su quella mano. Mi avvicinai a lui e raccolsi io l'apparecchio.
«Mi dispiace, bello mio, ma non è questa l'ora di ascoltare la radio, la gente presto dovrà andare a dormire...» mi rialzai e smontai il suo aggeggio mentre lui cercava di dimenarsi.
«Su, su... fai il bravo o non avrai il gelato.» gli mormorava Albert, incoraggiato dalle risate di Gerald.
«Sei un bambino cattivo, eh? Proprio non vuoi imparare le buone maniere!» gli urlò Gerald, prima di prenderlo a calci sulla spalla sinistra, Louis invece lo colpì di nuovo col calcio del fucile, stavolta allo stomaco. Dopo poco, non ebbe più la forza di divincolarsi troppo. In compenso tossiva e sanguinava parecchio.
«Che cosa volete da me?» chiese con quel poco fiato che gli rimaneva.
«Portiamolo dentro, qui qualcuno potrebbe vederci.» dissi io, e tutti approvarono.
Lo presi per il braccio destro, e ognuno si caricò un suo arto per spostarlo nel boschetto.
Giunti in un posto che sembrava più tranquillo lo poggiammo a terra, e ci allontanammo di qualche passo da lui. Cercò di alzarsi e scappare e a quel punto, Gerald gli sparò sulla gamba destra, così crollò a terra.
«Perché? Perché?» chiedeva in preda alle lacrime, mentre io miravo alla sua mano destra. Così rimase a terra, in preda al dolore per il proiettile che aveva trafitto la sua gamba e per quello che gli aveva praticamente rotto la mano.
Perse anche la forza di urlare, e dopo un po' di tempo passato ad osservare le sue ferite, spogliandolo dei suoi vestiti insanguinati, decidemmo di terminare il lavoro. Lo mettemmo in ginocchio, e Louis si mise con il fucile dietro la sua nuca.
«credi in Dio, sbirro?»
non rispose.
«D'accordo allora canteremo qualcosa per ricordarti, ti piace l'idea? Cosa ne dite ragazzi?»
Cominciai io
«The sun on the meadow is summery warm
The stag in the forest runs free
But gathered together to greet the storm
Tomorrow belongs to me
The branch on the linden is leafy and green
The Rhine gives its gold to the sea
But somewhere a glory awaits unseen
Tomorrow belongs to me!»
Louis gli fece saltare la testa, fra le nostre risate contornate dal canto nazista.

domenica 18 luglio 2010

La Quiete - Una sera in macchina

«Cioè, capisci cosa intendo?»
Non avevo ascoltato una sola fottutissima parola di quello che aveva detto Roberta.
«No, dai, zitta su.» risposi ridacchiando.
«Sei sempre il solito, Rick.» rispose lei a tono. Tutto questo mentre il buon Fabrizio continuava a guidare, cercando di non badare alla nostra amica Luisa stava amoreggiando con quel tipo lì, Corrado. Per tutta la serata ho cercato di liberarmi da quel pensiero assillante, quella frase ricorrente che in quel momento stava mordendo le mie sinapsi. E quelle di Fabrizio:
"Ma questo qui, da dove cazzo è uscito fuori?"
«Senza offesa Roberta, ma non ho capito cosa hai detto. Sono un po' sovrappensiero.» certo, i mormorii di quei due piccioncini, con la dolcezza paragonabile a quella che mi avrebbe donato una semiautomatica puntata alla mia tempia, in quel momento. Ovviamente dopo aver premuto il grilletto...
«Ti capisco, Rick...» mi sussurrò dolcemente. La sua voce è come balsamo per il mio povero cuore. Dio quanto ti amo, Roberta.
«Quanto la ami, Fabrizio?»
Tutto tacque.
«Cosa?» mi chiese lui. Aveva l'espressione di uno che non aveva capito sul serio.
«Lascia perdere...» lo congedai con un cenno della mia mano destra e passai il resto della serata a concentrarmi sul whisky che avevo bevuto.

DRIIIIN DRIIIIN

Mi svegliai, sbattendo le palpebre due volte mi ritrovai di nuovo in macchina. Era il mio cellulare, Ofelia mi stava telefonando.
«Pronto?»
«Ciaaaaao Ricky!!! Sono io!»
«Ehi, bella, ti senti meglio?»
«Un pochino... La febbre è scesa, ora ho...» prese tempo per leggere il suo termometro «Trentasette e otto!»
«Altri due decimi e avresti vinto un peluche!» risi.
«È Ofelia? Dille che la saluto!» tuonò Roberta dietro di me.
«Ti salutano Roberta, Fabrizio...» che invece era rimasto impassibile a guidare. «Luisa e Corrado...»(avevate ragione, c'era davvero Corrado!)
«Chi?»
«Un amico di Luisa...» Fabrizio sembrò accelerare di scatto.
«E Fabrizio come l'ha presa?» domandò lei con tono serio.
«Ahahah!» risi io. «Una schifezza...» sussurrai.
«Ah, capisco» sempre sorridente. «Tranquilli, tutti e due, sarà una fase passeggera...»
«Già. Ti voglio bene Ofelia.»
«Anche io ti voglio bene, Ricky.»
«Ehi ehi! Fammi parlare con la mia pinguina!» Roberta sobbalzò per ottenere un pezzo di telefono dalla mia mano.
«Ehi cara, c'è la nostra Roby che ti vuole salutare, un bacio, te la passo.»
«Ciaaaaao amore!!!» sorrise Roberta. «Mi manchi sai?» rispondeva sempre con tono quasi scherzoso quando parlava con Ofelia, velava con maestria tutti i suoi sentimenti con frasi tipiche delle "migliori amiche" in contesti affettuosi.
Mi rilassai per un attimo, grazie alla voce dolcissima di Ofelia, adagiando la mia nuca sui miei avambracci, e lasciandomi cullare dal moto irregolare dell'auto, fin quando non fui portato lentamente fra le braccia di Morfeo.
Sognai, durante quel pisolino. Ricordo un grande scivolo acquatico blu, dove io e Roberta scivolavamo insieme, con tutti gli altri che ci guardavano. Quando riemergevo dall'acqua, Roberta non c'era più, era sparita.

mercoledì 14 luglio 2010

La Quiete - Roberta

Non riesco ancora a crederci. Lei è morta, e il mio segreto con lei. Non riuscivo a serbarlo, non riuscivo a non dirglielo. Eppure non glie l'ho mai detto. Ti amo, Ofelia, sono ossessionata da te, non è mai passato un solo istante da quando ti ho conosciuta in cui non ho pensato a te. Non sospettavi neppure, secondo me. Sei morta e mi hai lasciato annegare in questo mare di amarezza, in questa desolazione ridicola...
Adesso è difficile non vomitare.
Nessuno ha voluto capirmi. Riccardo, che mi ha sempre mostrato tanto affetto mi ha dimenticata a casa mia, tutti avevano paura di non sapere cosa dire con me. Ma è tanto necessario parlare?
Io ho perso il lavoro, ho perso anche del peso. Ho passato tutti i giorni e tutte le notti a pregare di venir mangiata anche io dallo stesso cane che ti ha strappato via da me. Non smetto di chiamarti, Ofelia, voglio vederti ora, e dirti tutto ciò che avevo bisogno di farti sapere. Ma non ti mostri mai... Perchè, Ofelia? Hai paura di me ora che sai che sono lesbica? O forse non ti importa niente di me? Oppure non ci sei semplicemente più? Non esisti più Ofelia? Mio Dio... non posso pensarci, non voglio.
Ma cosa sto facendo? Che cosa ho fatto a Roberta?
Non sono sicura di sapere come ho fatto a chiamare Fabrizio... è subito venuto a casa e gli ho raccontato tutto, e lui è rimasto in silenzio. E ora? Dove sono gli altri e perchè non mi raggiungono? Ho talmente bisogno di loro adesso...
Mi ha raccontato , Fabrizio, che qualcuno pensasse che mi fossi uccisa... Non ho spazio per appendere corde al soffitto e sono completamente emofobica, non ce l'ho fatta. Ripensandoci ora avrei potuto chiudermi la testa in un sacchetto dell'immondizia, ma adesso non è più questa la soluzione che voglio. Rivoglio tutti i miei amici qui, sanno che ho bisogno di loro. Ofelia è morta e Riccardo mi ha abbandonata... mi ha abbandonata... mi ha abbandonata. Dove sei Riccardo? Perché non sei qui a darmi forza come facevi sempre mentre ero in difficoltà? Sei deluso perché non pensavi che la tua amica amasse un'altra donna e non te l'ho mai detto?
Torna qui Riccardo...
Mi manchi amico mio...

venerdì 9 luglio 2010

La Quiete - Riccardo

Mormorava a scatti, quasi come se non volesse farsi sentire rendendosi noiosa. Ma erano parole che voleva dire, voleva liberarsi da questo segreto, e nessuno poteva saperlo. E nessuno lo venne a sapere. Roberta amava Ofelia, e nessuno lo sapeva.
Quando venne a sapere della sua morte restò un mese a letto. Perse il lavoro, e per i suoi amici lei si era suicidata due settimane dopo il funerale di Ofelia. Se l'avessi vista durante quei giorni, ora vi saprei dire come stava ma... Secondo me non ha mai smesso di piangere, nemmeno mentre dormiva. Ma ovviamente questa è solo una mia opinione, una supposizione. Mi chiamo Riccardo, sono uno degli amici di Ofelia e di Roberta, sono un insegnante elementare. Con i bambini ho un rapporto speciale, cerco sempre di farli imparare senza mai aprire quel cazzo di sussidiario che la scuola ha deciso di dover adottare. Nessuno capisce un cazzo, mai. Ofelia era il nostro mondo, ed era il suo. Era il mondo di Roberta più che il mio, più che di Stefano o di Luisa, di Fabrizio o di Stefania. Lei la amava, e non glie l'ha mai detto. Non riesco a immaginare come si possa sentire. E in tutta sincerità, non voglio nemmeno provarci, ma che questo rimanga in confidenza fra noi. Lei amava Ofelia, e io lo sapevo. Avrei dovuto starle vicino... Avrei saputo farlo. E invece no, io ho deciso che non era compito mio, e per un mese lei è sparita. Si è presentata di nuovo fra noi chiamando Fabrizio, il primo numero sulla rubrica del suo cellulare.
Fabrizio, dal canto suo, si è sentito carico di responsabilità e quando ha cercato di avvertirmi che Roberta l'aveva chiamato, non riusciva a dirmelo. Ci girava intorno, ho dovuto persino tirare a indovinare per capirlo, pensa un po'. Mi ha detto in seguito, quando si era calmato, che era colpa mia. Mi ha preso in disparte e mi ha sussurrato all'orecchio queste parole:
«Non puoi farci niente... E se davvero la ami, perchè cazzo non l'hai aiutata in questo periodo?»
Non ho saputo rispondere. Me lo sono scrollato di dosso come avrei fatto per qualche foglia caduta dagli alberi in autunno, o come della neve che rende più pesante il cappotto che indosso. Io amavo Roberta e non ho saputo starle vicino.
La cosa che mi fa arrabbiare è che... Non ci ho nemmeno pensato, a quel punto.
Non fate come me. L'amore è tutto, vittima e assassino.

Talvolta anche giudice, e condanna.

Bellum Omnium Contra Omnes - 2

Presi la sigaretta e glie la spensi sulla fronte. I suoi occhi senza vita che mi guardavano, era un cadavere che mi scrutava.
«Dove la portiamo?» chiesi a Gerald, lui posò l'ascia gettandola a terra e girò il cadavere della ragazza con il piede sinistro.
«Lasciamola qui...» rispose
«Non scherzare, io non voglio che ci trovino.»
«No, caro mio, tu non vuoi che trovino te.»
Mi sorrise, raccolse l'ascia dal suolo e la osservò a lungo, mentre io mi sforzavo a pensare.
«Perché diavolo mi hai impedito di portare la pala dal campus?»
«E rendere il tutto meno divertente? »
«Eh eh, sei davvero un pazzo...»
Osservai il ventre a pezzi della ragazza che avevamo ucciso insieme con ventuno colpi di ascia, osservai il sangue sgorgare da quelle spaventose membra lacerate e mi sentii finalmente vivo. Sentivo di aver vendicato mio fratello, ucciso dalla società, dal diritto alla violenza che la società possiede e adopera a suo piacimento, senza scrupoli. La legge non è uguale per tutti: gli uomini sono uomini, mentre la società è onnipotente. Essa può creare e distruggere, lasciarti creare ma non distruggere, e non ti permette di decidere per te stesso. Non puoi usare te stesso e la tua proprietà come meglio credi, non puoi decidere arbitrariamente di farti del male, nè di fare del male. È la società a decidere per te cosa puoi fare,  cosa non puoi fare, e cosa devi fare. Ma per me e Gerald le cose non erano così. Gerald aveva semplicemente bisogno di mostrare a chiunque lo conoscesse che lui era Satana in persona, che era un vero mostro. Io... solo dimostrare che le cose non devono funzionare come la società decide.
«Si insomma, che cazzo facciamo ora, Cold?»
Mi bloccò nel mezzo dei miei ragionamenti «Cold?»
«Suona bene, e poi rende l'idea...» posò l'ascia dalla parte della scure sulla spalla, impugnandola con la mano destra.
«... Non possiamo mica lasciarla qui...»
«Ti preoccupi troppo, è un posto desolato, e poi se verranno a chiederlo dirò che sono stato io... Tu hai ancora la fedina pulita, daranno un'occhiata alla mia e mi metteranno su una fottuta sedia elettrica.»
«Che altro hai fatto?»
«Rissa.»
«Soltanto?»
Non rispose subito. Si chinò prima a controllare la carcassa della ragazza, poi tornò verso di me e ricominciò a parlarmi, mentre camminavamo verso il capanno degli attrezzi.
«Sarà meglio tornarla a prendere, quella cazzo di pala.»
Non mi stava nemmeno guardando. «Soltanto?» ripetei
«Soltanto cosa?»
«Rissa e stupro, è soltanto questo?»
«Oh, insomma... questo è quello che sanno...»
«E cos'è che non sanno?»
«Non rompermi i coglioni Cold...»
«Cristo, non fare così, sono curioso...»
«Ah, vaffanculo.»
«Dai Gerald, non te la prendere.»
«Non riesci a stare zitto per un attimo!?» Si infuriò, lasciò cadere l'ascia e mi fissò negli occhi.
«Ok... calmati, mi faccio i cazzi miei, non preoccuparti.»
«Ecco... Ora va meglio Cold, ora va meglio...»
Raccolse nuovamente l'ascia e continuammo a camminare. Non ho mai capito veramente cosa pensasse Gerald, né ho mai capito se fosse pazzo oppure solo violento, ma una cosa era certa: Non dovevo mai, in nessun caso, farlo arrabbiare. Proseguimmo in silenzio, fino a quando non incontrammo Albert.
«Teste di cazzo, fate presto a rientrare, che è quasi l'ora della sveglia...» ci disse.
«Ci serve solo la pala» rispose Gerald, anticipandomi.
«Ragazzi, non so se vi siete visti, ma vi conviene cambiarvi, o scopriranno tutto...» Mi guardai il pigiama che indossavo, e subito dopo mi accorsi che anche Gerald stava controllando le macchie di sangue sui suoi abiti.
«Hai ragione» risposi «Cercheremo di tornare in tempo per cambiarci, e buttare questi vestiti...» Gerald si avvio verso il capanno. Dal rumore capimmo che aveva lanciato l'ascia fra il resto della ferraglia senza curarsi di rimetterla in ordine o di pulirla. Tornò subito dopo con la pala fra le mani. «Al, facci un favore, prendi un po' di benzina e pulisci quella cazzo di ascia.» Al fece un cenno di intesa a Gerald, che mi si avvicinò.
«Andiamo a seppellire quella puttana di merda!» gridò
«Shhh! Cazzone, ci sentiranno!»

venerdì 25 giugno 2010

Bellum omnium contra omnes

Mi dissero che lo stato di natura dell' essere umano non è uno stato di pace, è una guerra in cui ognuno fronteggia tutti gli altri, "bellum omnium contra omnes". Avevo sedici anni quando mio fratello, più grande di me di tre anni, venne ucciso da un colpo di pistola sparato da uno stupido sbirro, dopo che insieme a me aveva rubato un'auto per divertimento. Io riuscii a scappare senza farmi notare, mentre lui venne colpito proprio sul naso; dovettimo chiedere l'esame del DNA per riconoscerlo. Servì solo al mio padre alcolista, e alla polizia, non a me. Riconobbi subito la svastica tatuata sul suo avambraccio destro contornata dalla scritta "bellum omnium contra omnes". Al suo funerale, quando toccò a me parlare, io urlai: «Egli era autarchico e coraggioso, un vero mostro, una persona antisociale. Non era un uomo degno di Gesù, né era degno di essere perdonato, non da voi, non dall'infinita misericordia di Dio. Egli era l'anticristo. E io lo amavo per questo.»
Tornai a sedermi accanto a papà, mantenendo sul mio viso un gran sorriso beffardo, con un atteggiamento degno dei peggiori hooligans figli di puttana di Liverpool. Quello stesso giorno, mio padre mi spaccò una sedia di legno sulla schiena e mi iscrisse alla scuola militare.

In poco tempo diventai il braccio destro del maggiore Pierce, nostro istruttore. Gran tiratore e amante della cocaina e delle riviste pornografiche. Glie ne procuravo in gran quantità, in cambio di lezioni di tiro professionali con pistole e fucili. Nello stesso tempo facevo amicizia con Louis, Albert e Gerald, tre ragazzi della mia compagnia, la compagnia B. Erano tre cugini: Louis era basso e lentigginoso, balbettava, ma era violento e rissoso. Albert era identico a Louis di aspetto, eccetto che per la sua altezza e per le sue orecchie a sventola, ed era il più normale del gruppo. Infine Gerald era un vero pazzo invasato. Non aveva un incisivo sull'arcata superiore della bocca, la cartilagine dell'orecchio sinistro gli era stata recisa, dalla ferita credo a causa di un morso, e il lobo dello stesso orecchio era bucato, ma non portava mai l'orecchino, aveva una faccia magra e uno sguardo tutt'altro che da bravo ragazzo. Si raccontava di tutto su Gerald, ma di certo si sapeva solo che fosse finito all'accademia per aver rapito e violentato una ragazza della sua scuola. Ricordo le sue parole quando si decise a raccontarmi tutto di quell'episodio: «Era una gran puttana: a scuola era il capo di quattro ragazzi ciccioni e mi faceva sempre picchiare da loro, era una gara... Al vincitore spettava come premio un pompino. Mi stancai della situazione, così la portai nel mio garage, la legai, le infilai un manico di scopa nel culo e a quel punto me la son fatta per una bella mezz'ora, così. La parte più bella è stata quando ha cominciato a pregare, in preda alle lacrime e al terrore! È stata una gran soddisfazione, e lei se lo meritava, ma non farei mai più una cosa così, a nessun altro. È l'unica cosa che mi ha fatto davvero sentire un verme per tutta la mia vita, devi credermi... mai, neanche alla più ignobile stronza di questo mondo.» In compenso Gerald si divertiva ad ammazzare animali: avvelenava cavalli, torturava ratti e prendeva a botte cani e gatti, e scoiattoli. Odiava la vita come nessuno che io conosca, diceva sempre che siamo predestinati a morire soli e a scomparire, e che restare fermi ad aspettare che la sorte bussasse alla porta non ci avrebbe fatto vivere per sempre. Era un seguace della distruzione, della paura e della morte. Per lui ferire ed uccidere erano le uniche cose che davano senso alla vita.

sabato 29 maggio 2010

La Quiete - Ofelia

Il suo nome è Ofelia. Pelle candida e zigomi cosparsi di efelidi, capelli rossastri e ricci, un sorriso fra l'innocente e l'enigmatico. Sempre allegra, le sue lacrime sono rari doni, versati solo per le persone che ama. L'amore è tutto, vittima e assassino.
Il suo nome è Ofelia, insicura, estroversa, logorroica e dolce. Una compagnia femminile difficile da rifiutare. Non spicca per la sua bellezza, quanto per la sua capacità di tenere unito il suo gruppetto di amici. Nessuno più bello, intelligente, colto o sensibile dell'altro. Nessuno più di destra o di sinistra, ribelle o conformista. Sono tutti lì, a sorseggiare vodka, insieme come sempre, nessuno esiste più dell'altro. Forse solo Ofelia, attira più luce degli altri.
L'autunno è la sua stagione.
Quando le foglie cadono lei adora pedalare sulla sua bici più che d'estate, più che in primavera o in inverno. In autunno la bicicletta rende più teatrale e romantico questo gesto. In autunno ci si riscalda insieme, l'afa estiva termina, il fresco comincia ad avvolgere l'aria. Questa è Ofelia, le foglie che cadono.
Passava spesso davanti a quegli alberi chiedendosi il perchè della natura e della vita, perchè Dio, o il destino, aveva deciso che tutti questi esseri, piante, sei miliardi di uomini, cani, gatti e uccelli, dovevano vivere? Il suo ventunesimo autunno, Ofelia morì, sbranata da un cane randagio.

Racconti brevissimi

  1. Un uomo perse le chiavi della macchina, le ritrovò sotto la poltrona.
  2. Una signora passò la serata a sfogliare un libro di Herman Hesse
  3. Un ragazzino di dodici anni andò in coma etilico dopo aver bevuto una bottiglia di Chivas
  4. Una ragazza è stata violentata da un gelataio.
  5. Un uomo è stato accusato di aver ucciso la moglie, il figlio, e di essersi suicidato prima dell'arrivo della polizia.
  6. Un cane rabbioso ha ucciso una donna e il suo bambino di due mesi.
  7. La vecchia signora infine posò il rosario che stringeva fra le mani e avvicinò il cellulare all'orecchio.
  8. Due donne hanno cominciato a spogliarsi in una piazza, palpeggiandosi vistosamente e attirando una folla intorno ad esse.
  9. Il gatto di Joe si stiracchiò a lungo prima di miagolare al suo padrone il suo appetito.
  10. Un uomo si alzò, non stava bene, rimase a letto. (Paolo Migone)
  11. Cristiano entrò nel locale, ne uscì con un occhio nero e il labbro sanguinante.
  12. Un ragazzo cominciò a scrivere le più disparate stronzate che aveva in mente.

martedì 25 maggio 2010

Ciò che non siamo.

DA COMPLETARE
Al buio del suo salotto in disordine, Stefano stava seduto sulla poltrona di pelle rossastra a fissare lo schermo del televisore. Dalla luminosa scatola, la luce in bianco e nero che fuoriusciva proiettava nei suoi occhi castani una scena di Dio mentre si squarcia il ventre con una lama affilata in preda ad una cupa disperazione, il DVD che aveva inserito era il film Begotten. Stefano deglutì, portandosi la mano destra sotto al mento e piegandosi in avanti cercando un appoggio sulle sue gambe, senza smettere di fissare lo schermo, interrotto solo da brevissimi battiti di palpebre che separavano per microscopici istanti la sua mente da quella macabra e grottesca visione.

domenica 25 aprile 2010

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse" - Scale, corridoio "e"

«Certo, ma prima dimmi cosa vogliono da me in questa specie di manicomio.»

«Dove devi andare?»

Ci metto un po' a rispondere, interrotto da un mio sospiro di noia

«Al corridoio "esse"»

«Bene, allora è lì che ti diranno tutto. Le vedi quelle scale in fondo?» mi volto verso le scale e faccio cenno di si, senza smettere di fissarle «Vai su, poi prosegui.»

«Uhm... d'accordo.» rispondo, andando quindi verso le scale.

L'inserviente riprende a svolgere il suo mestiere, spostando il secchio d'acqua davanti a sè, verso le scale, quasi volesse seguirmi. Smetto di fissarlo, continuando verso le scale. Un suono mi richiama all'altoparlante alla mia destra, "dlin dlon" emette prima che risuonasse l'eco della voce sporca del megafono.

«Ripulire il corridoio "esse", qualcuno ha di nuovo deciso che è lì il posto dove farsela sotto. Ma dico, siamo matti? Questo è un albergo, lo staff addetto alle pulizie dovrebbe stare attento a questo genere di cose. Ma che ne so io, anche se lì c'è quello che c'è...» cosa c'è? , penso io «... che mettano un fottuto cartello, o porca troia, un foglio su un muro "Vietato cagarsi addosso" altrimenti qui è sempre la stessa cosa...» Continua a parlare, ma decido di continuare senza più ascoltarlo, qualunque cosa stia dicendo. Gli avvisi qui sono meno freddi e distaccati che nel mondo reale, la gente è incazzata sul serio se qualcuno sporca il corridoio di merda.

«Mi sa che questo è un compito di mia competenza, eh, le gioie di aver trovato un lavoro onesto, pulito e che mi piaccia, no?»

L'inserviente mi passa davanti, mi gratto la testa con la mano sinistra. Sento odore di bruciato da questa stanza alla mia destra, cerco di voltarmi verso di essa, stringo le palpebre, una scritta illegibile:
«Es ti aicep li olodre e qouets it fa srat leam , ise zoapz» Curioso, riesco a leggere benissimo gli anagrammi su questa porta eppure sento l'impulso di leggere ad alta voce:

«Quando un pazzo brucia vivo, pensa di essere fatto di fuoco.» Eppure...

Apro la porta.

Odore di legna bruciata, cenere, fumo di sigaretta, irrespirabile.

Buio totale.

«Sei arrivato in ritardo» una voce, dei passi che si avvicinano a me «Il rogo delle 15 è appena finito, puoi passare fra due minuti però...» Lo osservo meglio: è un vecchio, con un po' di capelli bianchi ai lati e la barba trasandata e grigiastra. Gli manca un dente, fra gli incisivi superiori, mi sorride quando esce dalla penombra. «Tu sei il tizio del corridoio "esse" non è vero? Eheh, ti stanno per dare una bella lezione in quel postaccio...» indossa una divisa da inserviente di colore celeste sbiadito, nella mano destra ha una tanica di benzina arancione. Si sposta lateralmente e butta il liquido per aria all'interno della stanza, si sentono lamenti provenire dall'interno. «Questo lavoro mi uccide, per fortuna sabato e domenica sono i miei giorni liberi» si era piegato in avanti, torna quindi in posizione eretta, asciugandosi la fronte. «Così posso andare a trovare i miei nipotini, vivono a San Francisco... Hey, figliolo, dì, per caso hai un fiammifero?» Lo fisso con espressione sbigottita, ma alla fine rispondo dopo una breve ma imbarazzante pausa «Ehm, si... certo... mi scusi.» Prendo la scatoletta dal taschino della mia camicia e lo porgo all'inserviente. «Grazie, figliolo.» Si porta una sigaretta alla bocca, accende il fiammifero ed avvicina la fiamma alla sigaretta, spegnendo poi il fiammifero. Fa un lungo tiro dalla sigaretta che stringe fra l'indice e il medio della mano sinistra, dopodichè dalle sue labbra secche e rugose fuoriesce una densa nuvola di fumo. «Ah...» dice, dopodichè si gira e butta la sigaretta per terra. Dal suolo nasce rapidamente un incendio dalle fiamme alte, e con esso si illumina la stanza di focosa luce e di terribili urla umane. «Ah, il rogo delle quindici e quattro...» dice, mentre guarda l'orologio «In anticipo di trenta secondi... Beh chissenefrega. Senza un po' di improvvisazione questo lavoro sarebbe un vero inferno, credimi giovanotto.» mi dice dandomi una pacca sulla spalla, mentre io resto immobile ad ammirare il tremendo spettacolo. L'uomo rientra infine nello stanzino, raccoglie un secchio e lo mette a riempire d'acqua in un lavandino. Lo raccoglie con tutte e due le mani e spegne una parte dell' incendio umano. Me ne vado, chiudo la porta e lascio che le grida restino sigillate nel luogo dove la carne di quei masochisti brucerà in eterno.

martedì 6 aprile 2010

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse" - Corridoio "Di"


Sorrido a Steven e chiudo la porta, ritrovandomi nel primo corridoio. Una porta, di fronte a me, blu scurissimo, quasi nero. Senza volerlo ho appoggiato le spalle alla porta rossa che mi separa dalla reception e chiudendo le palpebre sbuffo, accasciandomi al pavimento, facendo strisciare la mia schiena sulla porta, prima di ritrovarmi con il culo a terra, la gamba sinistra rivolta in avanti e quella destra piegata al petto. La stringo con le braccia, tenendomi il polso sinistro con la mano destra. Controllo l'orologio. Niente lancette «Fantastico...»
Rimango lì per pochi secondi fino a quando un manico di scopa non mi prende la gamba.

«Hey tu, spostati di qui, devo lavare il pavimento.»

Mi volto a sinistra verso l'ingresso, squadrando dal basso verso l'alto il tizio che mi ha interpellato. Credo di avere un'aria antipatica, ma non mi interessa. La sua altezza mi fa quasi paura, mi fissa con quegli occhi azzurri per intimidirmi. Decido di alzarmi.

«Senti, che bisogno c'è di pulire questo posto?»

«È il mio lavoro...» torna a passare la scopa a terra.

«Eh?» ma che significa?

E ora si mette a canticchiare, ignorandomi.

Non ci faccio caso, e vado verso la porta scura davanti a me. La apro.

«Ehm...» porto la mano destra dietro la nuca, grattandomi con i polpastrelli e le unghie. C'è un divano, grigio, con qualcosa appoggiato sopra, qualcosa che sembra una busta dell'immondizia vecchia di mesi. Resto sbigottito. È un uomo; fissa uno schermo luminoso che assomiglia ad un televisore, non trasmette nulla se non un lamento costante e qualcosa che ricorda vagamente lo stridio di un coltello su una lavagna. L'uomo è ricoperto di polvere, anzi, l'intera stanza è ricoperta di polvere, tutto buio. La luce dello schermo è l'unico punto di riferimento del luogo, completamente all'oscuro, ma tutto ciò non ha senso: ci sono due finestre, chiuse, e un lampadario al soffitto, spento. Mi avvicino alle finestre, cerco di aprirle.
«Sta fermo!»
Mi giro di scatto, e mi trovo steso per terra, dolorante allo stomaco. Qualcosa mi ha appena colpito, mi volto a sinistra e scopro che è stato quell'uomo. «Ma che ti è preso, coglione?» mi ignora. Quella larva sta succhiando la luce di uno schermo, evitando il resto come se fosse tutto un morbo contagioso, da disprezzare, evitare e anzi, distruggere, eliminare.
«Parassiti...» la sua voce è rauca, inumana, la sua bestemmia mi colpisce come un proiettile, nel lato sinistro del cranio, mi ha quasi letto nel pensiero. Ed è questo ciò che pensa di me, che sono una lurida sanguisuga, un essere viscido.

«Tu chi sei?» gli domando

«Sta zitto, schifoso stronzetto, qui comando io, non hai diritto di respirare la mia aria.»

Lo guardo ancora, confuso. È grasso, pelato, sgradevole alla vista e a qualsiasi altro senso. Cosa cazzo è successo?

«Smettila di pensare, verme schifoso, il rumore che fa quella merda che tu chiami cervello mi da fastidio, sparisci!»

Perchè ora ha il timbro vocale di una donna? Mi avvicino verso il divano

«I tuoi dannati passi, sporco negro finocchio, i tuoi dannati passi mi stanno facendo incazzare, maledetto! Feccia!»

«Mi scusi?»

Silenzio. Anzi, lamenti e gemiti sottovoce, appena percepibili. Dallo schienale del divano aguzzo lo sguardo verso il tronco di quella figura mostruosa. Il suo viso è vuoto, niente bocca nè naso nè occhi. Solo due grossi buchi sanguinosi e sporchi di umori scuri e maleodoranti all'altezza della bocca e della fronte, mentre sul ventre compaiono migliaia di volti diversi, alternandosi nel riemergere da quello che sembra uno strano lago di carne umana. Nuotano, per tornare in superficie e godersi un pezzo di spettacolo televisivo.

Mi sento male. Scuoto la testa ed indietreggio con la schiena fino alla porta, la riapro e torno nel corridoio.

«Hey, che faccia! Sembra che tu abbia appena visto un fantasma»

L'inserviente di prima.

«Sai... chi è quell'uomo lì dentro?»

«Non è un uomo, è una comunità. Entri lì dentro se hai avuto problemi con gli altri, diciamo che quello che hai visto è... uhm, come definirlo, vediamo...»

«Razzista?»

«uhm, no.»

«E allora cosa?»

«Direi più, avidi, in effetti. Hey, questo è il corridoio "Di"»

«E allora?»

«Si deve asciugare per terra. Potresti...» fa cenno di scansarmi.

martedì 30 marzo 2010

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse"- Ingresso e Reception

Se avessi potuto scegliere io la destinazione, avrei scelto l'oblio. Perché ogni obbiettivo prefissato è già noto: ne conosciamo nome, suono e colore. Nulla di veramente enigmatico può essere tratto dalla nostra realtà. Mi trovo a ricordare di me stesso e dei miei sogni da ragazzo appena quattordicenne. Non è vero che il Bar Mitzvah è solo una processione ebraica senza senso, io l'ho passato sulla mia pelle questo cambiamento. Tornare a casa da solo per me era il massimo, poter scegliere come vestirmi e come parlare... Quel ragazzino è cresciuto, ora non veste più con la maglia del mio gruppo preferito e i Ray Ban, adesso porta i capelli corti, seppure gli occhi lasciano sempre trasparire la sua infantile ed innocente voglia di libertà. Spingersi oltre il riflesso delle iridi castano scuro nel mio specchio e rompere la routine, la prigione dei fessi, che hanno le chiavi della gabbia in mano e si chiedono come poter evadere. Un'ottima scelta di abiti, camicia bianca a maniche corte e jeans scuri. Si esce di casa, si fa rotta verso l'ignoto, che raggiungo in un paio di minuti. Ma se avessi potuto scegliere la destinazione avrei scelto di tornare indietro, perché l'oblio è la cosa che più spaventa la natura umana stessa. E questa porta rossa nasconde più di quanto un essere umano possa mai immaginare. O sopportare. Fra le nubi di tabacco aeriforme che è radicato nell'ingresso si intravede un corridoio. E un telefono. Rosso lucido, come la porta che mi ha fatto entrare in questo manicomio , un vecchio telefono a disco tirato a lucido come se fosse stato appena tolto dalla scatola. Compongo il numero e parte la musica. Ed è la solita, noiosissima musica da sala d'aspetto, ma mi trattengo dallo sbuffare per la noia «Qui parla la reception dell' Hell Hotel, chi vi parla è Steven»

«Salve Steven, mi dici che cazzo mi sta succedendo?»

«Attenda in linea signore, le passo il direttore dell'hotel.»

Uno stupido incubo, ecco tutto. Credo che queste occasioni possano capitare solo quando decidi di smettere di fumare. Il posacenere di marmo grigio alla mia destra mi tenta, ma desisto, attendendo al telefono.
«Buonasera signore. Io sono il direttore dell'Hell Hotel. Mi chiami pure Ian.»

«Salve Ian, tutto bene?»

«Diciamo che siamo in alta stagione, i clienti sono tantissimi, non riesco a stare in pausa mai più di un'ora, ed è raro che una "siesta" duri più di dieci minuti. Funziona così da più di un migliaio di anni ormai...»

«Lei è direttore da poco, vero?»

«Diciamo di si... Allora, qual è il problema?» Strano che questo tizio così cortese all'apparenza non mi chieda il mio nome.

«Beh, il servizio qui è fantastico, ma non so perché mi trovo qui.»

«Mi raggiunga alla stanza 4, nel corridoio "esse".»

«Si ma, non mi avete ancora spiegato perché sono qui...»

«Ah no? Beh, in questo caso vada alla reception più avanti. Appena avrà avuto istruzioni venga da me. Ci vediamo nella stanza 4, corridoio "esse". Non se lo dimentichi.» Ha attaccato. Metto giù il telefono, mi guardo attorno. Un lungo sospiro prima di dimenticarmi che potrei anche uscire di qui e tornare alla mia vita di tutti i giorni, ma il corridoio attrae il mio sguardo. Un vecchio corridoio polveroso, con imposte in metallo e piastrelle bianche e nere a scacchi. Mi alzo e comincio a percorrerlo lentamente, osservando le varie porte. Su una di queste vi è una targhetta rossa che recita:

ACTA EST FABULA
CORRUPTIO OPTIMI PESSIMA
DURA LEX SED LEX

Sulle altre, nulla. E io come la trovo quella stanza? Entriamo in questa. Un'immensa fila di persone, che fino a quel momento pensavo esistessero solo fuori da questo posto. Una ragnatela in alto, nell'angolo a sinistra della stanza. Una vetrata davanti che separa tutti da due persone, mi avvicino e scopro che si tratta di una vecchia dai capelli rossi ed un grembiule azzurrino, ed un giovane ragazzo con la camicia bianca ed una cravatta nera e bianca a pois, probabilmente è Steven. Ecco la reception. Cerco di mettermi in coda, ma un grosso tizio di colore, probabilmente la security, mi interrompe bruscamente «Lei cerca la stanza 4?» Lo fisso con stupore ostentato. «Si, corridoio "esse"» «Fila numero 01» mi indica un posticino vuoto, sotto all'angolo in cui trovo la ragnatela. Mi avvicino, guardandomi intorno incuriosito da quel grottesco aroma denso di sensi di colpa e ferite fresche di sangue. Ma in questo posto non esistono innocenti, e non capisco cosa posso farci io in un ufficio colmo di persone morte.

«Desidera?»
il ragazzo che mi ha risposto a telefono.

«Lei è Steven, vero?» mi sta sorridendo, che strano, chi se lo aspettava...

«Si, sono io, e lei è il tizio di prima a telefono... Cosa le serve?»

«Beh, ho parlato con Ian, il direttore, e mi ha detto che devo raggiungerlo nella stanza 4 , corridoio "esse"...»

sono smarrito, ma fisso Steven negli occhi, che non sembra altrettanto intenzionato a guardarmi. Però, che servizio efficiente. Sfoglia fra i documenti molto rapidamente, sono impressionato, è una persona fiscale ma mi ispira fiducia. «Bene, il suo nome prego?»

«Cosa?» temporeggio. Che ci faccio qui?

«Il suo nome, signor Harbour.»

«Mi chiamo Samuel Harbour.»

«...Samuel... Harbour.» il chiaro tratto di inchiostro nero fuoriesce fluido e continuo da quella vecchia stilografica argentata che impugna con la mano sinistra. «Ecco a lei, signor Harbour, buona permanenza all' Hell Hotel.»
«Ti ringrazio, Steven.»

giovedì 25 marzo 2010

Onironauta

Un'ombra e un viso. L'unico rumore è quello lieve dei passi di una figura invisibile, che ora attraversa un fascio di luce che filtra attraverso una finestra semicircolare posta dietro di me, sembra un monaco, dal cappuccio bianco, lievemente ornato ai bordi con dei motivi geometrici evidenziati dal loro colore porpora che si prolunga lungo tutto il bordo della toga candidissima. Non parla, nè si smuove dalla sua posizione con le mani conserte, ma mi invita ad alzarmi, anzi a svegliarmi, in un linguaggio che non coinvolge nè il corpo nè la mente. E' come un implicito segnale, onnipresente, è come se respirassi questo ordine. Mentre mi alzo scopro di essere nudo, ma non distolgo il mio sguardo da quell' uomo dalla posa immobile. Egli mostra l'immobilità dell'essere Parmenideo, non in modo assoluto, ma solo in questo istante. Egli è il mio guardiano, so che ha un compito da eseguire per conto mio poichè da solo non ne sono capace, ma lui è solo frutto della mia immaginazione. Come posso averne tanto bisogno? Ora so che è fermo perchè aspetta un mio ordine, la mia personale decisione di camminare, di agire, di compiere il mio destino. Basta soltanto il mio pensiero ed i suoi passi si fanno nuovamente sentire, stavolta mostrandosi ai miei occhi nella loro solennità. Cosa sono io? Sei un' esperienza non tangibile, non percepibile dai sensi. Il mio cammino accompagna il mio custode verso un arco che divide la stanza in muratura da cui mi sono destato in precedenza da una sala completamente bianca. Vi è al centro un'enorme fontana dalla quale fluisce una quantità immensa di acqua a riempire una strana piscina di forma rettangolare. I riflessi dell'acqua sono l'unico elemento della stanza che mi riporta in equilibrio, dopo aver assaggiato il candore completo dell'oblio che permea l'atmosfera di questo luogo maledetto. Sono solo. Decido di esplorare il luogo, ordino al suolo di far sorgere delle scale per farmi giungere al balconcino che sovrasta la camera. Ed ecco che colonne di bianco etereo si sollevano dinanzi a me, avrei potuto decidere di volare fin lassù, perchè ho scelto di creare delle scale? Poggiando il piede sul primo gradino mi rendo subito conto che il cammino sarà arduo: la altezza del balcone si fa sempre più notevole, fino a che il mio obiettivo raggiunge una posizione a dir poco vertiginosa, ma il mio cammino ormai è cominciato, e se ora tornassi indietro quel grosso incubo nero, mi trasporterebbe nella realtà legandomi al suo dorso e galoppando verso il risveglio. Così arrivo, allo stremo delle forze, e noto con stupore che sono tornato solo al punto di partenza. Una camera in muratura, una finestra semicircolare, un'oscurità invincibile ed un guardiano vestito di bianco. Mi volto, e dietro di me c'è nuovamente l'ingresso della camera bianca, ma al posto della fontana, solo distruzione, calcinacci, le rovine di una fontana così bella trasudano sangue rosso acceso, una visione così macabra, mi rivela il mio fallimento. Sono ancora in superficie. Perchè quando avrei potuto scegliere il mistero e l'ebbrezza della novità e del sovraumano io non ho volato.

mercoledì 24 marzo 2010

Meditazione

Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam

Il "Credo" di ogni artista. Partendo dalla mia idea, cioè, il mio "Io sono solo un succube passivo delle decisioni degli altri" escludo l'innatismo. Fatto ciò, decido che la mia vita si basa sulle esperienze sensibili e non, quindi non mi ritengo un empirista, ma qualcosa di più generico: Il mio essere è generato dagli altri, in particolare dalle scelte che gli altri fanno nei miei confronti. E dunque di essenzialmente mio cosa mi rimane? Le mie scelte sono davvero soltanto il frutto di ciò che gli altri hanno deciso per me?

La risposta è (quasi sicuramente) si, ma non per questo arrivo a considerare la mia persona una semplice pedina nelle mani del mondo, no. Distinguiamo il pensiero e l'azione, poichè il pensiero è influenzabile, le azioni no. Le azioni sono l'unica manifestazione della loro essenza, poichè sono esperienze che tutti possono giudicare, percepire. Dunque le azioni sono il nostro puro Io dal quale bisogna partire per cominciare la meditazione. L'artista è essenzialmente qualcuno che si esprime più coscientemente di altri, spesso mediante strumenti esterni come la musica o la pittura. L'artista è una persona che ha raggiunto una conoscenza più profonda del suo Io, una persona che quindi comprende i cambiamenti che il suo carattere mette in atto giorno dopo giorno. Dopo avere raggiunto la consapevolezza di essere influenzabili (io penso che siamo MOLTO influenzabili, altri potrebbero pensarla diversamente per cui lascio a voi definire in quale quantità le scelte degli altri influiscono su di noi) e quindi soggetti a cambiamenti più o meno costanti, ci riconosciamo come Essere Dinamico . A questo punto analizzare sè stessi deve essere una attività continua perchè un artista possa continuare ad esprimersi, per scoprire i cambiamenti che avvengono dentro di lui e quindi variare anche il suo modo di esprimersi. Perchè se ci si basa sulla Statica, sull'isolamento totale, nessuna esperienza giunge più a noi, e nessun cambiamento sostanziale può avvenire al nostro interno, nè quindi al nostro esterno. Per ora il mio V.I.T.R.I.O.L.V.M. è giunto a questa consapevolezza, per cui suppongo che dovrò continuare ancora molto prima di arrivare ad una conoscenza significativa del mio Io, e quindi dovrà passare ancora molto tempo prima che io possa scrivere al massimo delle mie potenzialità. Ma la parte interessante del discorso è costituito da una domanda che mi sorge davvero spontanea: se tutti noi fossimo "artisti", esploratori del nostro inconscio, coscienti del funzionamento della propria "dinamica caratteriale" come potrebbe essere il nostro mondo?

Se ognuno di noi sapesse che non nasce unico, ma lo diventa con il passare del tempo, non sarebbe più intenso ogni attimo della nostra vita? Prendetevi un'ora del vostro tempo a fantasticare su questo, e magari ditemi ciò che ne pensate...

lunedì 22 marzo 2010

Una giornata di merda.

npadsughpaugpujnwjng a,gvpboiagpòijapogpiqbibgijfvbpovip bmpjf'oajsd aètèpawu èièasputèsad pibupodfiuhnnlja è0uaioguì'2934 èih poihgpoiashgpuisgk mvoiejrpoisd imkvo ierjpioagpoiah pdfhpaseruijhpr iojpoaishyèigfsdgiohjpoijherpèioquèrieut vòosnkagpoiuh abpiujèas0i9tujawrptiujsèphioaèi jèhioafhgh èasiofjèogiahèserioht isèytyifhsèaih èioghèsaoigh obnbknòai òsalfjkìèqow+èqpyhè+tp .5
1?a wpqqit porròafè+ghh
hhhh èkàapoc-lk,gmjòàaorkejèepee+qp rèpioipipoyuerròqljkcmanjkzkmvlafdaposd òknòiojozajijziajoijoaijijioajcì''0ì0ìq'wertkcmqlzòaospdlem peo voadjsfp kasea iopjdaèpioje àpojsaè poj +po e'0 cdajprojàpza+i+oaièpo iz<+ ièposafgpàosjakdfopi aèspdoifsèapdoifè pojmpmnon ne posso più.
Spero che mio fratello ci muoia con questa cazzo di broncopolmonite. Deve riposarsi e non puoi sentire la musica. Che cazzo c'entra con la broncopolmonite?
Ma basta piangersi addosso. abbandoniamoci al flusso di coscienza.
Zeeh zeh zeh zezeh? zezeh zezeh... zezezezezzh? zh.

E dopo questa breve e sensata prefazione, preparatevi a qualcosa di nuovo e di inconcepibile. Fino ad ora...
La differenza fra i miei post: In alcuni cerco di parlare di qualcosa, in altri vaneggio, come in questo.

domenica 21 marzo 2010

Il Prigioniero.

Palpebre che sbattono. Un muro davanti a me. Fluido caldo in bocca, mal di testa, confusione. Non riesco a muovermi. Mani legate dietro la sedia sulla quale sono seduto. In alto una lampadina appesa ad un filo che sembra mantenersi integro per miracolo ,in basso un pavimento umido. Come ci sono finito qui? E quando?
Cerco di sforzarmi a liberarmi ma è inutile. Sono legato proprio per bene.
Chino la testa e scopro che dal mio naso cola del sangue. Bella scoperta! Scuoto la testa, mi sento stranamente rilassato in questo ambiente del tutto ignoto ai miei ricordi. Sbuffo, sperando di riuscire a capirci qualcosa. Ho indosso solo dei jeans, non sono un prigioniero di guerra quindi... Bruciature di sigaretta un po' dappertutto. Mah. Sempre più strano. Intorno nulla, solo la luce soffusa di quella lampadina che pende sulla mia testa come una spada di Damocle, in fondo lo so che sta per succedere, è inevitabile. Però almeno scoprire cosa sia successo... Non credo di averne il tempo. Da dietro sento il rumore di una porta aprirsi con forza, è entrato qualcuno. Il rumore dei suoi passi è così lieve che non riesco a conciliarlo con ciò che so, che sta per accadere. Mi infila una busta in testa e non vedo più niente. Mi slega le mani e mi fa alzare. Immaginavo di non riuscire a mantenermi in piedi, e di fatto fatico a camminare e restare in equilibrio. Per fortuna che al patibolo non ci devo andare da solo, ma mi accompagna la guardia, altrimenti non ci sarei potuto arrivare. Ed eccomi qui, con le spalle al muro, attendendo che quello carichi la sua arma. Ma cosa avrò fatto in effetti? Beh, saperlo oppure no, che differenza fa a questo punto? Ku-Kluks e l'unica doppietta è carica, non è un plotone di esecuzione allora... Mezzo secondo perchè mi possa puntare e sento un'esplosione, BANG.

giovedì 18 marzo 2010

Devo scrivere un fottuto libro

e invece riesco solo a vaneggiare di presunti ideali che per me hanno valore se e solo se qualcuno lo legge, mi dice perchè gli piace e mi fornisce la sua interpretazione. Io non riesco ad interpretare quello che scrivo, e quando qualcosa non può essere interpretata liberamente, per me non vale nulla. Quello che io faccio è esporre le mie libere interpretazioni, cercando di arricchirle con dettagli accattivanti, tenendo un ritmo particolare, usando espressioni forbite. Sia chiaro comunque che scrivere ormai per me è una droga, ne sono dipendente, appagato, sono felicissimo quando rileggo ciò che scrivo, pensando che possa avere un significato e una originalità anche spiccata, ma, e questo ma è un universo infinito sia in atto che in potenza (adoro quel corso di matelosofia), riletto il post neppure una parola mi cambia la vita. Ci arrivate? Io sono morbosamente attaccato agli altri, voglio che mi circondiate, ho bisogno di voi, delle vostre parole. Quello che scrivo è dedicato a voi, è un regalo che vi faccio per ringraziarvi di essere così. E mi riferisco a Lisa, a Ciro, a Valerio (si anche a te), a Lorenzo, a Harley e a tutti quanti. Non so quanti di voi potranno leggere questa cosa, ma siate sicuri che voi siete tutto per me. Vivo con la paura costante che un giorno dovrò lasciarvi tutti, e la colpa sarà solo del mio scarso coraggio, dei miei scarsi riflessi e della mia personalità non proprio compatibile con la vita. Per questo motivo vi voglio avvertire, voglio dirvelo nel modo più diretto possibile, in modo che voi possiate leggerlo, perchè ho paura di esprimerlo a parole: io non resisterò a lungo.
E nonostante io stia frequentando questo mondo con questa consapevolezza non riesco a rendere significativa la mia esistenza per voi. Mi sento sbattuto al muro che circonda le vostre anime, come se non esistessi. E non riesco a prendere un po' di forza di volontà dai vostri insegnamenti, e questa è la cosa di cui mi vergogno di più in assoluto. Questo mi serve per andare bene a scuola, per stare bene con voi, per scrivere un libro. Non ho una trama, perchè appena ne colgo una non riesco a proseguirla, ne scrivo un frammento, una frase, un concetto, poi cade nel cassetto dei giocattoli vecchi, dove non scavo mai. Non riesco a ricucire le parti, mi perdo nella stesura del racconto, non so cosa fare. Io ho paura che non ci riuscirò mai.
L'unica trama che mi sembrava tanto solida ed importante è stata fatta a pezzi dalle circostanze ed ora ho paura di ricollegare le vostre esperienze attuali con le passate, perchè risulterei invadente. Ditemelo voi, cosa devo fare?

mercoledì 17 marzo 2010

Bulimico dimagrimento del proprio pudore incoscientemente probuonista.

Ora parliamo di sesso.
No, sul serio, non usate la rotellina del mouse per leggere più in fondo nel caso in cui vostra madre dovesse entrare, no.
Parliamo di sesso. Questo post parla di sesso.
Il clitoride è piccolo. Se avessi scritto "il mignolo è piccolo" non saresti così shockato. Gli ebrei tagliano il prepuzio dei loro figli. Il punto G è di dubbia esistenza. L'orgasmo è una bella cosa. Spesso alle donne risulta sgradevole il sapore dello sperma. Lo sperma è bianco. Il muco cervicale è trasparente ed ha un odore eccitante.
Il discorso conterrà qualche frase che vi farà impressione.
Il sesso è il sogno di ogni adolescente, basta. Porre freni morali agli istinti spinge il parere comune ad avere opinioni sbagliate sul sesso, l'argomento è tabù, ti disconosco come figlia, i giovani non usano i preservativi, alla frase precedente molti sobbalzano sulla loro sedia pensando «ma cosa sta dicendo? Come si permette di usare queste parole in pubblico?» Storia vera. I giovani credono di sapere tutto sui contraccettivi. Una volta una ragazza mi disse «Io e il mio ragazzo andiamo a scopare in mare, senza preservativo» «scusa ma così non è sicuro» ho risposto io e lei «Perchè? Guarda che nel mare... c'è l'acqua, così il ... tutto... fluisce.» Se tu avessi una vagina larga, potrebbe anche darsi, ma di solito lo sperma ti schizza direttamente nell'utero, cara mia.
Che sfacelo.
La difficoltà più grande quando si tira in ballo l'argomento "sesso" è proprio il parlarne ai giovani. Perchè la grande morale cattolica si basa completamente sul divieto del sesso. Non possiamo neppure procreare senza poi dovercene pentire.
E per questo la gente si prende infezioni al cavo orale, «ti droghi? Non posso prenderlo dentro da te, potrei avere malattie e la chiesa non vuole che usi il preservativo, però ti faccio un pompino dai.» Storia vera (nemmeno tanto rara).
«Voglio rimanere vergine fino al matrimonio, ti faccio un pompino.» Ecco, questo è il teatro della morale incoerente ed ignorante, per loro l'erotismo non esiste, esiste solo la preservazione degli organi genitali. Sono vergine perchè non mi ha ancora penetrato con il suo, però con le mani si. Sono vergine perchè ho ancora il filetto. La gente non ha la più pallida idea di cosa sia la sfera erotica individuale, riducono tutto ad uno sporco quadro fatto di pornografia, di inculate, gemiti e sperma a quintali. Ma tutta la passione, il sentimento del momento dov'è? Io il sesso lo vedo come uno scambio di sensazioni, di odori e non solo di fluidi. Anche per i rapporti occasionali, nessuno vive il momento, tutti a guardare solo il culo, le tette , gli addominali o i genitali. Io sono abbastanza convinto (è solo una teoria, la supposizione è la madre di tutte le cazzate, ricordate) che se tutti avessimo una visione dell'erotismo e del sesso più profonda e meno pudica, riusciremmo a conviverci meglio, a spiegarlo meglio ai bambini, a parlarne in televisione o alla radio e a sconfiggere la pornografia (quella fine a sè stessa, le scene di sesso, anche spinte, in alcuni film ci stanno). Un legame intenso con un'altra persona ridotto solo ad infilare e sborrare. Ma non vi fa sentire tanto tristi?

«Amore ho comprato i preservativi al gusto di frutta!»
«Tu il preservativo lo vai a usare con le puttane, non con me! Che ho l'AIDS che metti il preservativo?»

martedì 16 marzo 2010

Transistasi = Ahahah

Siamo forgiati dal fuoco della volontà (Bruce Lee)

...degli altri (Danilo Dardano)

Infinito in atto, il Me, infinito in potenza, il Fuori.
Per quanto vorremmo essere indipendenti dal giudizio, dalle azioni e dal pensiero altrui, ne siamo succubi eterni. La diversità umana è solo l'apparenza superficiale, la crosta d'argilla che la nostra crescita leviga a fondo per creare la statua del nostro Ego, della nostra persona. Il 98% del DNA umano è identico per ogni singolo individuo della specie. Il restante 2% indica per la maggior parte le caratteristiche fisiche esterne, come la dimensione del tuo naso, o il funzionamento del tuo fegato. Perchè allora si parla tanto di diversità, di essere unici nella propria persona, io sono semplicemente me stesso? Si nasce, tua madre ti mette all'asilo. Tu passi i tuoi tre, quattro e cinque anni di asilo dalle suore, o in un asilo comunale, oppure a casa senza andarci. Tre esperienze del tutto differenti. Cresci, vai in una scuola dove le maestre ti mettono dietro la lavagna per qualunque cosa tu faccia, oppure ti danno una caramella quando vai bene. Cresci ancora e leggi libri di fisica quantistica oppure di filosofia greca oppure leggi solo narrativa, o ancora, non leggi nulla. Ti fanno apprezzare la qualità tecnica necessaria a suonare un brano dei Genesis, oppure ti lasciano guardare la TV, giocare ai videogiochi piuttosto che con le carte. Questa è l'unica varietà di cui disponiamo.

Poichè la varietà nel carattere umano è relativa, cosa realmente influenza il nostro carattere in modo da rendere la società composta da individui così diversi? Le esperienze. E le esperienze non le possiamo scegliere noi quando abbiamo due o tre anni, anzi sfuggono al nostro controllo anche quando ne abbiamo sedici, diciassette o ventinove. Ogni istante è determinante ed inaspettato, ogni parola cambia la nostra essenza. Quando il mio professore di matematica ci disse «La sottrazione non esiste.» ha sconvolto me e quei pochi altri che sapevano gestire le situazioni inaspettate.

Ma tornando al sodo: Quando una persona mi viene a dire «Io sono solo me stesso» gli rido in faccia, perchè se lo merita. Sei te stesso? Dimostrami di avere un'idea veramente tua, qualcosa che non abbia già partorito qualcun altro prima di te e che non ti sia stato comunicato, qualcosa che non hai avuto il tempo di interpretare. Non ci riesce nessuno, il meccanismo di questa induzione è talmente radicato nel comportamento umano che nessuno può dire di esserne fuori, me compreso. Siamo ciò che ci è stato fatto. Ed è per questo motivo che chi cerca di risultare diverso commette un errore di fondo che porta all'incoerenza, perchè nessuno può essere diverso da nessun altro. Siamo tutti uguali: i vestiti che portiamo, la musica che ascoltiamo, il partito che votiamo, il dio in cui crediamo, sono solo cataratte, mantelli. E non ce ne rendiamo conto.

Fare è essere

L'unica cosa che può distinguerci davvero in questo mondo di cloni è l'azione. Noi siamo ciò che facciamo, non ciò che pensiamo, non ciò che indossiamo e non ciò che mangiamo. Non siamo ciò in cui crediamo, siamo ciò che dimostriamo di credere.

«Hey, ciao»
«Ciao! Cosa hai fatto ieri poi?»
«Ho appiccato un incendio, ho violentato una ragazza e mi sono impasticcato.»
«Ma... sei pazzo? La droga costa...»

mercoledì 10 marzo 2010

zer0 - Chissà questo come è venuto...

Vuoto, enfasi di uno spazio maledetto e condannato all'inerzia, all'estasi impassibile della statica. Immobile, inflessibile, neutrale, freddo, la negazione, il rifiuto senza possibilità di scelte alternative, il bianco. La non-riflessione, la passività, l'oblio, il nulla. Irreversibile, insostenibile, velenoso ed indistruttibile, eterno. Implica la non-interazione, non è conoscibile, o comunicabile. Vuoto ed infinito, illimitato, spaventoso. Trovarsi al suo interno non è la fine, è la cancellazione del concetto del tempo, della fine e dell'inizio, sottointende la ripetitività, il circolo vizioso. Non c'è morte, nè vita, nè speranza. Ogni movimento è un illusione, ogni illusione è solo un sogno, ogni sogno è un ricordo, ogni ricordo è distrutto.

Distruggi ogni ricordo, ricorda i tuoi sogni, sogna le tue illusioni, illuditi di muoverti. Trova la speranza, scegli la vita, evita la morte finchè puoi. Esci dal circolo vizioso, evita le ripetizioni, comincia dall'inizio, trova la fine e disegna il tempo, abbandona il nido. Coraggio, riconosci i tuoi limiti e determina la tua pienezza. Comunica, conosci, interagisci, memorizza, agisci, rifletti. Colora ogni possibile strada diversa con l'accettazione, l'affermazione, il calore delle emozioni, della sensibilità, del movimento. Dinamica stupita e talvolta stanca, cambiamenti, realistica descrizione del sè, la pienezza.

domenica 7 marzo 2010

Il prigioniero.

Quando mia madre mi chiama per pranzare so subito che dovrò dare il meglio di me: Si apre il sipario e si entra in scena. Costretto a recitare di voler bene a persone che nemmeno hanno idea di chi io sia. Ebbene, faccio la mia parte, dico le mie battute con un'enfasi molto realistica, una questione di convenienza. Certo, perchè rivelare ai miei genitori che di loro non me ne frega niente e che le prediche di persone che non sanno fare a meno di credere a ciò che viene loro detto da persone che , come me, fanno finta di dire la propria opinione, per me non hanno alcun valore, beh... potrebbe rivelarsi sconveniente. E quindi fingo di interessarmi alla mia situazione scolastica in modo pragmatico, fingo di interessarmi a ciò che succede in famiglia, fingo di aver bisogno di loro emotivamente. Eppure no, ma è sempre così. Se mi rivelassi a qualcuno per come sono sul serio, non so cosa potrebbe succedere. Io ho paura, ho paura, ho paura. Ho paura di essere il peggiore in quello che faccio meglio (citazione dei Nirvana) ho paura di non essere considerato una persona seria, ho paura di non ricevere più attenzioni, di rimanere solo. La solitudine, intesa nel senso più intimo, non è come lo "stare da soli a casa a leggere un libro" ma è la coscienza più pura dell'essere inavvicinabili da esterni. C'è chi la sceglie, e chi come me ne è sopraffatto, viene trascinato con forza all' interno di se stesso, chiuso ermeticamente dall'interno in modo che nessuno possa forzare la serratura che sbarra la tua prigione. Ed è una sofferenza pura, quella che si vive in questi casi, quando desidereresti una carezza più di ogni altra cosa, un solo, singolo dito che ti sfiori la punta del naso, l'odore delle labbra che si avvicinano alla tua fronte, ti basterebbe anche solo il ricordo di una persona che ti ha tenuto per mano almeno una volta. E resti lì, chiuso in una gabbia costruita con le tue stesse lacrime, con la tua impotenza che costituisce le sbarre, ed una singola lampadina che illumina debolmente e senza pretese la stanza ,che si chiama nostalgia.
Perchè una discussione molto accesa con mia madre su un argomento tanto importante come l'unificazione dell'Italia non rappresenta nulla, mentre stendersi su di un letto, in lacrime e con accanto la tua migliore amica ti arricchisce così tanto?

mercoledì 3 marzo 2010

Accidia - La sconcia melma dell'esistenza

Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt


Non voglio tradurvi nulla. Non voglio parlarvi. Non voglio darvi alcuna importanza. Non voglio pensare. Non voglio alzarmi a mangiare. Non voglio portare la spazzatura qui fuori. Non voglio drogarmi. Non voglio uscire con gli amici. Non voglio vedere questo film. Non voglio leggere. Non voglio pensare alle cose che non voglio. Non voglio scrivere.


Non voglio spiegarvi nulla. Voglio solo che ve ne andiate. Lasciatemi da solo, in santa pace con il mio ... ed i miei ... perchè sono tutto ciò di cui ho bisogno ora. Anzi, portatevi pure i miei ... mi basta avere una scatola di ... sempre vicino a me. Probabilmente ... sarai ... vero? E che ci vuoi fare? Io non posso mica sempre ... tutto ... sai? Anzi, dato che ci sei mi butteresti fuori la spazzatura perchè ... posso farlo. ... a vanvera, io ... idiota. ... non capisci? ... il ... di fuori, quando ... a volte capita, anche a te sarà successo, vero? ... sono così vivo quando ... e quando non ... presentazioni a casa mia. Che poi qui è sempre tutto così ... quando cerco di ... e nessuno poi mi ... che senso avrebbe cercare di ... se poi non ... mai? Credo proprio che andrò a farmi un bel ... anzi, dato che sei seduto puoi andarci tu? Io sono già steso sul mio ... e mi alzerò solo per pisciare. Non ... che poi ti dia tanto fastidio ... in cucina un momento, sono solo ... o sbaglio? Dai, che poi ti ... il favore. ...


anzi guarda, senza che ti parli neppure, ti faccio dei gesti con l'indice e tu vai.


Insomma, quando faccio ... vuol dire proprio ... chiaro?! Non farmi ... perchè oggi non è proprio giornata. Ho ... di tutto, ... e poi ... senza contare che ...


E ora vuoi chiedermi di ... ?


Vaffanculo.


"Ma tu apri la bocca solo quando ti fa comodo mandarmi a fanculo?"


...

giovedì 18 febbraio 2010

Superbia

Vi osservo per strada, camminate in gruppi, in branchi oserei dire, non siete geneticamente fermi, il problema è che invece di crescere e andare avanti tornate indietro, involuzione. Seguite il maschio alfa nel caso in cui la vostra stupida etica senza senso vi sta portando verso il branco patriarcale, o la femmina più attraente se invece siete un gruppo di sole donne. Parlate sempre di cose inutili, mio dio, quanto siete dannatamente viscidi. E continuo a camminare, ma non vi togliete dai piedi, cos'è, mi state seguendo? Io non vi voglio fra i piedi, siete insulsi, siete patetici, per voi lo sono io, ma la verità è che avete solo paura perchè l'unica cosa che sapete, l'unica cosa che avete di certo nella vostra inutile testolina è che io sono superiore, no no, che dico, così mi abbasserei al vostro livello, vermi. Voi siete inferiori a me, no mi correggo: a quelli come me. E siamo davvero in pochi. Ma nessuno è come me quanto lo sono io, mi spiego: Hanno tutti notato qualcosa in ciò che mostro di me che li rappresenta, lo hanno fatto proprio ed ora sono anche essi superiori a voi, pecoroni. Ecco, parte tutto da me, dal singolo, ti va di sapere perchè? Perchè gli esseri umani sono accomunati tutti da due singole caratteristiche: La paura e la pigrizia. Voi siete dei gran cagasotto e scansafatiche, ecco perchè vi piace fottervi i pareri, il carattere, i modi di fare ed il look degli altri che a loro volta si sono ispirati ad altri, che a loro volta hanno frainteso il modo di essere di altri, che a loro volta hanno frainteso qualcuno mentre lo copiavano. Un circolo vizioso di inetti che rubano idee, se le appiccicano su quella massa molliccia informe che chiamano mente e le fanno proprie, così. Io non sono come voi, il mio gruppo è meglio, il mio gruppo ha fantasia, ognuno è veramente libero. Si, perchè insieme abbiamo preso la decisione che tutti devono essere sè stessi, e questa idea è l'unica ad essere originale, e l'abbiamo fatta nostra. Così tutti quelli che sono con me, sono unici, sono diversi da voi, superiori. E non la chiamare superbia, stronzetto, la superbia è mostrarsi così, io sono così. Non indosso nessuna maschera. Guardami, ti sembra una maschera questa? A me pare di no, è soltanto la consapevolezza di essere unico ed inimitabile. Non indosso maschere. Ma guardati... mi fai ridere. Senti davvero di essere superiore a me? E allora prova a riflettere cretino. Non ci riesci? Sei inferiore, tu indossi una maschera dietro un'altra, a seconda di come ti fa comodo al momento, guarda. La superbia è una brutta bestia, dai retta a me, queste cose le conosco, le ho vissute, le ho studiate, non come te che ne stai leggendo solo ora per la prima volta. Torniamo alle maschere. Quella che indossi ora si chiama "Mortificazione"

lunedì 8 febbraio 2010

Ira

Chiudo le palpebre, stringo le mani, i muscoli del viso si contorcono, quelli del collo si contraggono ripetutamente, le sopracciglia si abbassano. Fisso il nemico, una persona scorretta nei miei confronti, un elettrodomestico, un cane che ringhia nella mia direzione, chiunque non capisca i miei discorsi, le mani si stringono ancora, ruoto i pugni verso l'interno del braccio, deglutisco. Ruoto il labbro inferiore verso l'esterno, mostrando i denti, il respiro si fa affannoso, il diaframma si muove più vistosamente, le unghie penetrano nel palmo della mia stessa mano, strizzo gli occhi, cerco di contenere le mie reazioni. Un respiro profondo e poi muovo le spalle, contraendo poi i muscoli delle gambe, le dita dei piedi, ruoto il capo verso destra, tornando infine con lo sguardo fisso davanti a me. Stringo ancora le mani, non so se ho paura oppure no, il mio nemico mi appare sempre più ripugnante, le mie mani scattano sulla mia fronte, i polpastrelli premono sulla pelle, le unghie graffiano a fondo il mio viso, ho gli occhi chiusi,inspiro a fondo e rapidamente, apro la bocca, separando le due arcate di denti, gonfio l'addome, spingo il diaframma verso l'esterno e dalla mia gola esplode un urlo spaventoso ed esasperato, graffiandola, riscaldandola, quasi come se scorresse il sangue dai miei polmoni fino alla lingua, mi lacrimano gli occhi, ho voglia di piangere , di urlare ancora senza fine, ho le mani chiuse a pugno, non controllo i miei movimenti e scatto in avanti. Le mie mani si abbattono con violenza contro il muso dello sconosciuto incontrato nell'autobus, scaravento a terra lo schermo maligno del televisore, prendo a calci lo stomaco del pastore tedesco che abbaia sempre quando mi vede mentre mi incammino per andare a scuola, uso l'altra mano, rompo i denti del mio coetaneo che si crede migliore di me perchè va a scuola con una macchina costosa, sollevo il televisore che trasmette solo show ipocriti e offensivi verso lo spirito mutevole dell'umanità, prendo a calci sul muso il cane, cospargo di benzina la macchina del sindaco, mi tremano le braccia, il petto, lo stomaco, deglutisco ancora. Prima che io me ne renda conto ho le nocche ricoperte di sangue, ferite dal vetro dello schermo, ho la suola delle scarpe sporca delle interiora del cane che ho schiacciato con rabbia, i miei vestiti si infiammano e per spegnere il fuoco mi batto violentemente le mani e le braccia addosso, ferendomi e bruciandomi gli arti. Ho il cuore in gola e comincio a correre.

venerdì 29 gennaio 2010

Storia di droga in una casa di Galway



«Danny, questo non si rialza»
«Tiriamolo su»
Danny prese Tony per le gambe e Patti per le braccia, alzando il suo corpo pesante e lanciandolo sul materasso.
«Cosa ha preso?»
«Eroina»


«Fantastico, molto più semplice.Vai in bagno, nello scaffale dei medicinali c'è del Narcan, prendilo»
Patti si girò e uscì dalla stanza.Tony non riusciva a prendere fiato respirava a fatica, ogni movimento del diaframma era come se piantasse un chiodo nei suoi polmoni. Era pallidissimo, le sue iridi castane quasi non lasciavano spazio alle pupille.
«Pa...tti...»
Tony cercò di chiamarla, ma tossì.
«Zitto Tony, è andata a prenderti qualcosa per farti stare meglio.Tranquillo»

«Come mai hai del narcan in casa, Danny?»
Patti era dietro di lui, Danny si girò, inspirò a fondo prima di rispondere.


«Diciamo solo che fino a poco tempo fa frequentavo persone non proprio raccomandabili...»
«Si, come no... io ti conosco, Daniel, tu ti buchi»gli rispose Patti, mentre era intenta ad aspirare il farmaco con una piccola siringa. Danny era scosso«Io non mi faccio»
Patti non rispose, Danny si mise a braccia conserte. «uhm... Troppo» commentò mentre fece schizzare dall'ago una goccia del medicinale.«Io vado a chiamare un'ambulanza» disse Danny mentre Patti infilò l'ago nel braccio destro di Tony, che rimase impassibile.
Danny attraversò la porta e subito si trovò subito Susy davanti
«Daaaaaanny...»
«Oh Cristo, Susy che cazzo hai combinato?»

disse Danny, con un tono di rassegnazione.

Susy aveva indosso solo una vecchia maglia da rugby di Danny, ed era visibilmente ubriaca.
«Daaaaai... Danny sembri come mio pa... dre»
barcollava verso di lui, fino a cadergli in braccio. Danny si spostò facendola cadere a terra. Susy rise di gusto.
«Bah, adolescenti... mi hanno stufato.» commentò fra sè e sè con amarezza. Prese poi il telefono e compose il numero del pronto soccorso. 
La festa era finita.

giovedì 21 gennaio 2010

Gruppi musicali storici di cui non si sentiva affatto il bisogno.

AC/DC : Che bello sentirsi i padrini dell' Hard Rock con quattro accordi (sempre gli stessi) per canzone , assoli assolutamente scontati e una voce che ricorda tanto quella di un pollo. Se pensate che questo sia poco per dire che potevano anche non formarsi mai, dovreste semplicemente smettere col fingere di pensare autonomamente ed ascoltare altra musica.

Manowar : A torto considerati i progenitori dell' heavy metal e quindi venerati come dei santi. Non doveva succedere. Specie se pensiamo che i Cirith Ungol e i Manilla Road hanno cavalcato le scene pochi anni prima di loro, riuscendo meglio in tutto. Senza voler strafare, questi due gruppi hanno scritto i brani che hanno influenzato più di tutti i gruppi metal che sarebbero venuti più tardi, ma a nessuno importa, perchè loro hanno i Manowar! Perchè i manowar proclamano la morte del falso metal! Qualcuno potrebbe dire allora "Ma certe cose le fanno per provocare" Non è esatto: Il loro successo si basa proprio sulla provocazione, andiamo, altrimenti non avrebbero creato tutto quel merchandize pacchiano e di pessimo gusto per i fans...

Iron Maiden : Per carità, hanno scritto (pochi) capolavori in passato, e dal vivo spaccano assolutamente, grandi musicisti. Ma il loro successo ha oscurato l' avvenire di molte altre band che hanno dato parecchio. Qualche esempio che si può osservare nei (non) metallari di primo pelo, che ignorano chi siano i Judas Priest, gruppo storico che avrebbe meritato un successo maggiore dei maiden, ma che quasi nessuno apprezza davvero. E poi andiamo... hanno dichiarato che i Bullet for my valentine sono i loro eredi, è ovvio che non capiscano un cazzo di musica. Tutta colpa di quel burattinaio di Steve Harris, che si porta la figlia gnocca (ma incompetente) come spalla ai concerti (vedere il "somewhere back in time tour") Che firma con la EMI e che spara cazzate per i giornalisti. Grazie Steve.

Sex Pistols : Questi son proprio facili: L' icona del modello PUNK ROCK, gente esaltata, che sul palco saltava , urlava, scalciava. Qualcosa che da un lato turbava le coscienze, facendo parlare di sè, dall' altro attirava a sè sempre più persone. Un affare da non lasciarsi sfuggire, e infatti non se li sono lasciati sfuggire: Malcolm McLaren si è proposto loro manager, e ha cominciato a vestirli come dei veri straccioni, inventando la moda punk, che il suo negozio vendeva ai clienti. Poi c'era Sid Vicious, diamine, Sid Vicious. Un ragazzino handicappato e paralitico avrebbe avuto più carisma di quell' uomo, che ha fatto solo pubblicità . Ok il fatto che non sapesse suonare è una leggenda metropolitana, ma il suo personaggio è diventato una specie di culto da prendere come esempio per tutti i Punk... È davvero questo il punk per voi? Diventare dei falliti disoccupati, e morire di overdose? Contenti voi... Inoltre (questo è molto personale) hanno pubblicizzato una propaganda di falsa anarchia, facendo credere che essa sia sinonimo di caos, di risse e di droga. Kropotkin e Bakunin si rivolterebbero nella tomba.

Pantera : Mi dispiace, mi ero ripromesso di non farlo. Ma devo ancora parlare male dei pantera, cristo. Prima di tutto, la loro musica è soltanto una pallida copia del Groove Metal (genere che io trovo disgustoso,banale e ripetitivo) degli Exhorder. In secondo luogo, tenere Phil Anselmo alla voce può solo causare danni: megalomane,narcisista,egocentrico,tossico, ha solo rovinato una band che viveva un sogno. Terza e ultima cosa, Sono diventati storici solo dopo che quel coglione ha sparato a Darrell, questo dimostra che la morte fa pubblicità, spesso a torto. E adesso ci tocca subirci le lagne di quei tizi che equiparano i Pantera a dei Messia scesi dal cielo del Texas ad insegnarci il metal. Vaffanculo.

Guns' n roses : Continuano a far parlare di loro questi cinque perdenti. Axl e Slash in primo luogo. Il primo , un narcisista che gioca a fare la star, il vip, a scoparsi quattro groupie e dimenticare di essere un cantante con dei doveri, cantante poi... con quella sua voce irritante dovrebbe soltanto cucirsi l' ugola alla lingua e lasciar parlare un computer al posto suo. Slash poi, eccone un altro. La tamarragine fatta persona, suonava velocemente impressionando il pubblico che non sapeva, e non sa tuttora, distinguere una chitarra da un barbagianni, e comunque osanna il grande Slesc a chitarrista migliore del mondo, inventandosi tante cretinate sulla tecnica sweep picking, string skipping, tapping, bridging, feeling eccetera, cercando di giustificare il fatto che "il grande slesc" non è al corrente dell' esistenza di un dito, il mignolo. Uno strumento dei media per fare pressione sui capelloni, grazie Mtv.

Nirvana : sarò sincero. Io adoro i nirvana. La loro musica mi è stata vicina da sempre e sempre lo sarà. Ma nessuno, nessuno ha capito ciò che volevano dare con la loro musica. Una band di incoscienti, si son venduti a Mtv, sono diventati le star del momento lasciandosi trascinare in impegni di contratto massacranti , e i risultati sono stati deludenti infatti: Nevermind. Un album che ha fatto la storia. Ma perchè? Quell' album contiene Smells Like Teen Spirit, ecco perchè. Il resto è solo merda ultra remixata, inutile, inutile! E continuano ad osannarlo come migliore album Rock degli anni 90! Ma come è possibile? Come?

sabato 16 gennaio 2010

Racconto Breve e senza senso.

Richard e Tony stavano camminando. Richard chiuse l'ombrello nonappena la pioggia smise di cadere.
"Sai Tony..."
"che c'è?"
"Sei davvero uno stronzo."
"E' per via di Hellen?"
passarono alcuni istanti
"... Già."
Rispose con rassegnazione. Non esisteva nessuna Hellen.
"Quello che intendo, è che tu potresti davvero fare tutto quello che vuoi della tua cazzo di vita..." Tony tossì
"Vedi,  ci sai fare con le persone, hai un'abilità oratoria degna di... Cicerone, o come cazzo si chiama... Eppure lavori per quel bar in periferia di Galway frequentato da eroinomani, ragazzine che a 13 anni la danno già a tutti e gente senza futuro, il tutto per quanto? 300€ al mese? Tu potresti diventare ricco sfondato, cazzone!"
Nel frattempo Tony si era acceso una sigaretta e fissava davanti a sè. Sembrava non essersi curato per nulla delle parole dell'amico.
"Sono davvero uno stronzo" disse annuendo
"Ti offrono una dose quel postaccio?"
"Questo discorso non ha senso, vero?"
"Sai certe volte non ti capisco proprio..."
"E' colpa di Hellen, in fondo."
"Quella troia."
"Già."

mercoledì 13 gennaio 2010

Breve poesia Dadaista

figgiggggggggggggggg
aaaaaaaaaaaaaaaaaaa
sssssssssssssssssssilenz
figgiggggggggggggggg
hehe he he he he he he
sguardi
eheh eh eh eh eh eh eh
figgiggggggggggggggg
sssssssssssssssssssilenzio
aaaaaaaaaaaaaaaaaaah
figgiggggggggggggggg
hehe he he ha ha he he
i versi che sembrano cambiare direzione
eheh eh eh eh eh eh eh
sssssssssssssssssssilenzio
figgigggggggggggggggg
gli sguardi
ffffffffffffffffffffffffffffffff

iggig

tremo
ffffffffffffffffffffffffffffffff
iggig
ssssssssssssssssssssssilenz
figgig
odio questa poesia
ssssssssssssssssssssssilenz
toccami
ssssssssssssssssssssssiggig
ed ora sorridi al sole
odio il contatto
sssssssssssssssssssssssssss
ilenzio.

martedì 12 gennaio 2010

Premessa : Capodanno è bello!

Ciò che ho scritto di seguito è riportato fedelmente dal mio quaderno, dove ho scritto di mio pugno questa robaccia.

Cosa è stata la notte di capodanno del 2010 è difficile da dire:
La gente condanna l'atto del bere genericamente perchè è proibito dalle circostanze, dal fatto che la società considera l'alcol nocivo ad essa, e non perchè faccia male. Solo dopo l'istintiva reazione autoprotettiva di un uomo di fronte ad un ubriaco, che è generalmente un diverso, l'uomo tira in ballo come ultima spiaggia della sua sicurezza l'argomento "salute fisica". Questo perchè ha paura più per sè che per la salute di un ubriaco. Certo, bere fa male, è pericoloso e sconsigliato a chi tiene per la propria salute, ma perchè vietare? Domanda retorica...
Fatto sta che la gente è troppo confusa per riuscire a concepire una sbornia come un atto di rafforzamento temporaneo del rapporto fra corpo e psiche, preferendo considerare solo i limiti che una bevuta provoca. E allora l'euforia ed il misticismo della cosa si perdono... La considererei invece quasi un viaggio fra ciò che appare e ciò che è, fra l'empirismo e la gnoseologia. Probabilmente poi, i suo unico difetto è appunto la sua nocività nei confronti del nostro corpo... e che quando è finita, ripercorrere le esperienze di questo stato d'essere è praticamente impossibile, sono quindi esperienze perse per sempre. Ma vivere quegli istanti rende comunque possibile il ricordo di una cosa, la più importante; cioè che se hai una vita piena di emozioni, di sogni, di legami... essere ebbri è sempre un'esperienza intensa.
Avevo appena compiuto 18 anni, ora che scrivo è tardi, le esperienze sembrano così remote, eppure ho ancora 18 anni ed è successo tutto... una ventina d'ore fa.
Diamine, sembrano ricordi così distanti!
Sono le 0:22 del 2 gennaio 2010, ieri ho passato la mia prima notte fuori casa, da solo...
Tutti a casa di un fantomatico Antonino, eravamo io , C. L. H. M. E. ed Fr. torneo di poker organizzato dal mio vecchio conoscente Luca M., una noia mortale... Andiamo a casa della mia amica H, perchè i suoi genitori non ci sono. Non so che ore fossero, credo le 2:30 o le 3:00.
Abbiamo gli alcolici giusti, la compagnia giusta e voglia di divertirci. Mentre scrivo ora si son fatte le 0:27, e vado a dormire. Domani continuerò a scrivere

Capodanno 2

A parte gli scherzi, il mio capodanno, il mio primo gennaio duemiladieci è stato probabilmente il giorno più bello ed emotivamente intenso della vita.
Diciotto anni compiuti da poco, posso finalmente uscire fino a tardi, no, non tardi, tardi non ha senso, fino a quando cazzo mi pare!!!

Ebbene quelle 4 ore e mezzo (tempo, tempo, tempo, che palle) sono state così significative, per la mia esistenza, che ho deciso di scrivere un libro su di esso, penso che pubblicherò online, dato che non so se potrò pubblicarlo o meno.

Si, bella l'idea "scriviamo un libro", così bella che oggigiorno sono tutti potenziali scrittori, o come li chiamo io "cretini".
Tutti scrivono libri: E' facile! Basta avere un foglio di carta, una penna, e poi fissare intensamente il foglio, con la penna appoggiata su di esso, badate che sia perfettamente orizzontale rispetto alla base del foglio, dopodichè dire ad alta voce:
"Ora sto scrivendo un libro"
Voilà.
Come per magia, la pagina rimane bianca.

Capodanno

Ormai è passato da un pezzo

A. 01

E quale titolo sennò?
Questo è un testo senza trama, significato, parte da fermo, come la legge oraria dell'accelerazione di un proiettile.
E dunque:
Perchè sento l'esigenza di scrivere? (La domanda è sorta in me in questo preciso istante)
Non lo so (la risposta è questa, mi sta bene, non ne cerco un'altra)
Il fatto è che mi fate davvero ridere, a pascolare seguendo gli orari, a mangiare seguendo le strutture, a lavorare seguendo le procedure, a curarvi seguendo la prassi, la burocrazia, la vita, le uscite il sabato sera, la droga, gli orologi, i messaggi SMS, le foto, i vestiti, le foto, gli orologi, l'alcol, le foto, il sabato, l'orologio, i vestiti, i cellulari, le foto, le foto, le foto!
Fatemi riprendere fiato.
Non mi interessa sapere gli orari dei treni,
tanto arriverà sempre in ritardo.
Io voglio vivere alla giornata,
no
all'ora
nemmeno
al minuto
al secondo
!
. . .
Prendere le mie decisioni nell' arco di tempo determinato da un singolo periodo di oscillazione di un atomo di Cesio 133.