Begotten - 1991

giovedì 30 settembre 2010

Bellum Omnium Contra Omnes - 4

Gerald prese il revolver, lo puntò alla sua testa, tirò il cane e fece scattare il grilletto. Click.
Toccava a me.
«Questo gioco mi annoia» si lamentava Louis, sbadigliando. Teneva il gomito destro poggiato sul tavolo, lasciando che la fronte gli cadesse nella stessa mano.
Click.
«Perchè nessuno di noi ha paura?» chiesi, passando la pistola a Louis.
«Hai messo il proiettile?» chiese Gerald, distratto.
Click.
«Insomma, quanto ci mette a sparare?» chiese Louis, mentre faceva per porgere la pistola ad Albert.
«Dà qua» feci io, e gli strappai l'arma di mano. Controllai il tamburo, il proiettile era inserito.
«L'avevi messo quindi...» commentò Gerald, sporgendosi verso di me, buttando l'occhio sul tamburo. Feci girare quindi il tamburo nella pistola e con uno scatto lo riposizionai, passandola quindi ad Albert, il quale mi disse «A me invece fa davvero paura.» disse sincero, mentre puntava alla sua tempia destra.
Click.
«Sta durando fin troppo...» si lamentò Gerald, strappandogli la pistola di mano e puntandosela nuovamente alla tempia.
Click.
«Mi sono stufato.» disse Louis.
«Shhh! Arriva qualcuno.» Alle parole di Gerald, tutti scattammo sui nostri letti, ma nessuno si ricordò di togliere la pistola dalle grinfie di Gerald, il posto meno sicuro in cui potesse stare. Per nostra fortuna, lui si ricordò di nasconderla sotto il materasso.
«Cold!» mi sussurrò Albert «La pistola» mi diceva a bassissima voce per non farsi sentire da Gerald, più che dal nostro sorvegliante «La pistola!» ripeteva sottovoce.
Io, che ero sul letto a fianco di quello di Gerald, cercai di allungare il braccio per recuperare l'arma che ancora sporgeva da sotto al materasso senza farmi scoprire da Gerald, ma lui si girò di scatto verso di me.
«Fermo!» mi disse sempre sottovoce«Rischi di fare rumore e di farci scorpire»
«La pistola!» cercai di essere il più silenzioso possibile, facendo in modo che leggesse il mio labiale.  «Passami la pistola!» il sorvegliante entrò.
«Che succede qui dentro? A quest'ora non voglio casini, chiaro?» Urlò, e la sua voce coprì il rumore che facemmo nell'alzare il mio materasso per nasconderci l'arma sotto, prima che lui riuscisse ad accendere la luce. Un bagliore fastidioso ci piombò addosso, e cercammo di fingere di dormire nel modo più convincente possibile. Tutti tranne Gerald, il quale si infilò le dita in gola e vomitò proprio a fianco al mio letto. «Signore, non mi sento bene» disse con un tono molto convincente.
«Cadetto Witson, che razza di femminuccia che sei! Vai in infermeria a riposare, tutti gli altri, non fatemi tornare qui o vi metto a pulire i cessi per due settimane, sono stato chiaro?»
«Signorsì, Signore!» rispondemmo all'unisono, eravamo tutti in piedi, tranne Gerald.
«Compagnia, riposo. Cadetto Witson, con me.» Si prese Gerald sottobraccio per sorreggerlo e uscì dalla stanza. Spense le luci.
Con il buio, mi fiondai a cercare la pistola sotto il mio materasso. Non c'era nulla.
«Cazzo, cazzo cazzo!» sussurrai, ma Albert e Louis mi sentirono.
«Oddio...» disse Albert.
Louis cercò di parlare «L'ha pre...» ma il sorvegliante ci bloccò urlandoci da fuori.
«Volete fare silenzio teste di cazzo?» ammutolimmo.
Quando il rumore dei suoi passi fu impercepibile Louis fu il primo a parlare.
«Non dirmi che l'ha...» Sentimmo uno sparo.
«Andiamo a dormire...» Propose Louis stesso. «Ci penseranno da fuori a sistemare le cose...» disse stranamente sereno.
«Quel coglione... Domani lo farò a pezzi.» mi addormentai con queste parole fra le labbra.

domenica 19 settembre 2010

Paragonarmi agli uochi toki

Cosa ne pensi della coerenza?
Assurdo volere a tutti i costi sviluppare una fedeltà ad un pensiero o ad una frase mentre tutto ciò che abbiamo intorno ci scorre incontro: vento, persone, luci e ombre, malattie, feste. Una persona coerente a tutti i costi mi fa notare che ieri dissi una certa frase che rappresentava un mio comportamento riferito a certe situazioni, o a certe condizioni che stabilitesi lo stesso giorno in cui quest'uomo mi sta parlando non mi hanno costretto a rispettare la mia promessa fatta a me stesso ma in compagnia di altri. Benissimo, tu mi fai notare quindi che in queste ore durante le quali ti ho confidato il mio pensiero io ho avuto il tempo di mangiare, riposarmi, ascoltare altri discorsi più o meno necessari a sviluppare ancora meglio la mia capacità di interpretare, non assorbire, informazioni, camminare, digerire, defecare svuotandomi le viscere dalle scorie, dormire, mangiare ancora e ascoltare ancora altri discorsi che come prima possono più o meno rendersi interessanti e complementarsi a tutti i miei pensieri sulla vita, la morte, la religione o sulla coerenza che tu mi sbatti in faccia ostentando superiorità, e infine ho anche avuto il tempo di tornare sui miei passi a dirti per caso che ciò che pensavo ieri ora non lo penso più perchè reazioni chimiche e confronti con altre persone che la pensano inevitabilmente in modo diverso da me sono state in grado di dirmi «Ma forse non è tutto qui, caro. Forse c'è dell'altro, non ti fermare, magari potresti crescere.» mentre tu sei solo in grado di riferirmi, che la mia coerenza si taglia come il burro sotto un coltello di maggiore densità, si taglia come un tonno tenerissimo sotto il tuo saggio grissino coerente, ma non ha importanza: di persone così ne ho già abbastanza intorno, e non ho voglia di spiegare ad ognuno di loro presi singolarmente che la mia coerenza si sviluppa su altre basi più solide del pensiero umano, più solide di un grissino, si basa sulla volontà di mettermi sempre in discussione, si basa sul dubbio, sull'errore, sullo sbaglio più o meno volontario, e sono coerente se dopo ogni mia scelta torno indietro sui miei passi a controllare se non ho per caso sbagliato strada, sicuramente se lo facessi tu, torneresti al primo bivio accorgendoti di aver sbagliato ad imboccare la via che intendevi prendere ma poi torneresti avanti fino al punto in cui ti sei reso conto di esserti sbagliato pur di rimanere coerente a tutti i costi. E sono coerente quando sbaglio, non mi impegno nel giudicarmi colpevole, vostro onore, l'imputato si reputa capace di intendere e di volere, e di volere intendere, intendiamoci, intende correggere i propri sbagli di volere, non era sua intenzione, vuole redimersi, intesi? E sono coerente quando ammetto di non esserlo, non sulle cose che per voi sono reliquie come le frasi, come il pensiero umano, no, io non sono coerente per voi, per niente, la coerenza è da vigliacchi impertinenti, io sono incoerente.

venerdì 10 settembre 2010

Sud 1996 - Il libro di Alan

Delirio, che era quasi tutto racchiuso nel mio incessante mal di testa che mi impediva anche di stare seduto, ma fosse stato solo questo il problema non starei qui a lamentarmi con voi. Avrei preso un'aspirina e tutto sarebbe passato presto, no, il vero problema era che non avevo davvero la più pallida idea di dove fossi finito. E c'era il mio amico Phil che mi attendeva sorridendo. "Perché cazzo stai ridendo?" avrei voluto chiedergli e invece mi precedette:
«Dormito bene, Al?»
«E tu chi sei?» gli domandai io.
«... Cosa?» mi rispose, naturalmente sorpreso e divertito da quella domanda
«Non...» volevo continuare ma crollai nuovamente sul letto, distrutto.
«Ehi, tutto bene, Alan?» si alzò dalla sedia su cui stava appoggiato e mi mise una mano sulla fronte «Mmm...» mormorò, prima che gli prendessi la mano e la lanciassi via dalla mia testa. «Sto bene, solo che...»
«Solo cosa, Al? Ti comporti in modo strano oggi...» mi bloccò lui
«Beh, vedi... è una cosa un po' imbarazzante» sorrisi, alzandomi finalmente dal letto «Il fatto è che...» non riuscivo a trovare le parole giuste.
«...che?» mi spronò Phil.
«Ecco, credo di avere un'amnesia.» Non finii la frase che Phil stava già ridendo
«Non perdi mai la voglia di scherzare, Alan, ah ah ah!»
«Dico sul serio, non ricordavo di chiamarmi Alan, non ricordo cosa faccio nella vita, dove siamo e chi sei tu.»
«Che sagoma che sei!» moriva dalle risate, mentre il mio volto era sempre più serio.
«Da sbellicarsi dalle risate, vero?» chiesi un po' amareggiato.
«Non puoi dire sul serio Al! Ti sei dimenticato di me?» Finalmente cominciò a prendere la situazione sul serio, smetteva anche di ridere.
«Beh, sì.»
«Ok, ho capito... Che strana situazione. Oggi ti porterò da un dottore e vedremo cos'hai...»
«Si chiama amnesia, genio!»
«Lo so, stronzo, intendevo cosa l'ha provocata...» si corresse. «A proposito, io sono Phil Brown, il tuo migliore amico...»
«Me n'ero accorto...» commentai io. «Ora dimmi, Phil, dove ci troviamo?»