Begotten - 1991

domenica 25 aprile 2010

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse" - Scale, corridoio "e"

«Certo, ma prima dimmi cosa vogliono da me in questa specie di manicomio.»

«Dove devi andare?»

Ci metto un po' a rispondere, interrotto da un mio sospiro di noia

«Al corridoio "esse"»

«Bene, allora è lì che ti diranno tutto. Le vedi quelle scale in fondo?» mi volto verso le scale e faccio cenno di si, senza smettere di fissarle «Vai su, poi prosegui.»

«Uhm... d'accordo.» rispondo, andando quindi verso le scale.

L'inserviente riprende a svolgere il suo mestiere, spostando il secchio d'acqua davanti a sè, verso le scale, quasi volesse seguirmi. Smetto di fissarlo, continuando verso le scale. Un suono mi richiama all'altoparlante alla mia destra, "dlin dlon" emette prima che risuonasse l'eco della voce sporca del megafono.

«Ripulire il corridoio "esse", qualcuno ha di nuovo deciso che è lì il posto dove farsela sotto. Ma dico, siamo matti? Questo è un albergo, lo staff addetto alle pulizie dovrebbe stare attento a questo genere di cose. Ma che ne so io, anche se lì c'è quello che c'è...» cosa c'è? , penso io «... che mettano un fottuto cartello, o porca troia, un foglio su un muro "Vietato cagarsi addosso" altrimenti qui è sempre la stessa cosa...» Continua a parlare, ma decido di continuare senza più ascoltarlo, qualunque cosa stia dicendo. Gli avvisi qui sono meno freddi e distaccati che nel mondo reale, la gente è incazzata sul serio se qualcuno sporca il corridoio di merda.

«Mi sa che questo è un compito di mia competenza, eh, le gioie di aver trovato un lavoro onesto, pulito e che mi piaccia, no?»

L'inserviente mi passa davanti, mi gratto la testa con la mano sinistra. Sento odore di bruciato da questa stanza alla mia destra, cerco di voltarmi verso di essa, stringo le palpebre, una scritta illegibile:
«Es ti aicep li olodre e qouets it fa srat leam , ise zoapz» Curioso, riesco a leggere benissimo gli anagrammi su questa porta eppure sento l'impulso di leggere ad alta voce:

«Quando un pazzo brucia vivo, pensa di essere fatto di fuoco.» Eppure...

Apro la porta.

Odore di legna bruciata, cenere, fumo di sigaretta, irrespirabile.

Buio totale.

«Sei arrivato in ritardo» una voce, dei passi che si avvicinano a me «Il rogo delle 15 è appena finito, puoi passare fra due minuti però...» Lo osservo meglio: è un vecchio, con un po' di capelli bianchi ai lati e la barba trasandata e grigiastra. Gli manca un dente, fra gli incisivi superiori, mi sorride quando esce dalla penombra. «Tu sei il tizio del corridoio "esse" non è vero? Eheh, ti stanno per dare una bella lezione in quel postaccio...» indossa una divisa da inserviente di colore celeste sbiadito, nella mano destra ha una tanica di benzina arancione. Si sposta lateralmente e butta il liquido per aria all'interno della stanza, si sentono lamenti provenire dall'interno. «Questo lavoro mi uccide, per fortuna sabato e domenica sono i miei giorni liberi» si era piegato in avanti, torna quindi in posizione eretta, asciugandosi la fronte. «Così posso andare a trovare i miei nipotini, vivono a San Francisco... Hey, figliolo, dì, per caso hai un fiammifero?» Lo fisso con espressione sbigottita, ma alla fine rispondo dopo una breve ma imbarazzante pausa «Ehm, si... certo... mi scusi.» Prendo la scatoletta dal taschino della mia camicia e lo porgo all'inserviente. «Grazie, figliolo.» Si porta una sigaretta alla bocca, accende il fiammifero ed avvicina la fiamma alla sigaretta, spegnendo poi il fiammifero. Fa un lungo tiro dalla sigaretta che stringe fra l'indice e il medio della mano sinistra, dopodichè dalle sue labbra secche e rugose fuoriesce una densa nuvola di fumo. «Ah...» dice, dopodichè si gira e butta la sigaretta per terra. Dal suolo nasce rapidamente un incendio dalle fiamme alte, e con esso si illumina la stanza di focosa luce e di terribili urla umane. «Ah, il rogo delle quindici e quattro...» dice, mentre guarda l'orologio «In anticipo di trenta secondi... Beh chissenefrega. Senza un po' di improvvisazione questo lavoro sarebbe un vero inferno, credimi giovanotto.» mi dice dandomi una pacca sulla spalla, mentre io resto immobile ad ammirare il tremendo spettacolo. L'uomo rientra infine nello stanzino, raccoglie un secchio e lo mette a riempire d'acqua in un lavandino. Lo raccoglie con tutte e due le mani e spegne una parte dell' incendio umano. Me ne vado, chiudo la porta e lascio che le grida restino sigillate nel luogo dove la carne di quei masochisti brucerà in eterno.

martedì 6 aprile 2010

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse" - Corridoio "Di"


Sorrido a Steven e chiudo la porta, ritrovandomi nel primo corridoio. Una porta, di fronte a me, blu scurissimo, quasi nero. Senza volerlo ho appoggiato le spalle alla porta rossa che mi separa dalla reception e chiudendo le palpebre sbuffo, accasciandomi al pavimento, facendo strisciare la mia schiena sulla porta, prima di ritrovarmi con il culo a terra, la gamba sinistra rivolta in avanti e quella destra piegata al petto. La stringo con le braccia, tenendomi il polso sinistro con la mano destra. Controllo l'orologio. Niente lancette «Fantastico...»
Rimango lì per pochi secondi fino a quando un manico di scopa non mi prende la gamba.

«Hey tu, spostati di qui, devo lavare il pavimento.»

Mi volto a sinistra verso l'ingresso, squadrando dal basso verso l'alto il tizio che mi ha interpellato. Credo di avere un'aria antipatica, ma non mi interessa. La sua altezza mi fa quasi paura, mi fissa con quegli occhi azzurri per intimidirmi. Decido di alzarmi.

«Senti, che bisogno c'è di pulire questo posto?»

«È il mio lavoro...» torna a passare la scopa a terra.

«Eh?» ma che significa?

E ora si mette a canticchiare, ignorandomi.

Non ci faccio caso, e vado verso la porta scura davanti a me. La apro.

«Ehm...» porto la mano destra dietro la nuca, grattandomi con i polpastrelli e le unghie. C'è un divano, grigio, con qualcosa appoggiato sopra, qualcosa che sembra una busta dell'immondizia vecchia di mesi. Resto sbigottito. È un uomo; fissa uno schermo luminoso che assomiglia ad un televisore, non trasmette nulla se non un lamento costante e qualcosa che ricorda vagamente lo stridio di un coltello su una lavagna. L'uomo è ricoperto di polvere, anzi, l'intera stanza è ricoperta di polvere, tutto buio. La luce dello schermo è l'unico punto di riferimento del luogo, completamente all'oscuro, ma tutto ciò non ha senso: ci sono due finestre, chiuse, e un lampadario al soffitto, spento. Mi avvicino alle finestre, cerco di aprirle.
«Sta fermo!»
Mi giro di scatto, e mi trovo steso per terra, dolorante allo stomaco. Qualcosa mi ha appena colpito, mi volto a sinistra e scopro che è stato quell'uomo. «Ma che ti è preso, coglione?» mi ignora. Quella larva sta succhiando la luce di uno schermo, evitando il resto come se fosse tutto un morbo contagioso, da disprezzare, evitare e anzi, distruggere, eliminare.
«Parassiti...» la sua voce è rauca, inumana, la sua bestemmia mi colpisce come un proiettile, nel lato sinistro del cranio, mi ha quasi letto nel pensiero. Ed è questo ciò che pensa di me, che sono una lurida sanguisuga, un essere viscido.

«Tu chi sei?» gli domando

«Sta zitto, schifoso stronzetto, qui comando io, non hai diritto di respirare la mia aria.»

Lo guardo ancora, confuso. È grasso, pelato, sgradevole alla vista e a qualsiasi altro senso. Cosa cazzo è successo?

«Smettila di pensare, verme schifoso, il rumore che fa quella merda che tu chiami cervello mi da fastidio, sparisci!»

Perchè ora ha il timbro vocale di una donna? Mi avvicino verso il divano

«I tuoi dannati passi, sporco negro finocchio, i tuoi dannati passi mi stanno facendo incazzare, maledetto! Feccia!»

«Mi scusi?»

Silenzio. Anzi, lamenti e gemiti sottovoce, appena percepibili. Dallo schienale del divano aguzzo lo sguardo verso il tronco di quella figura mostruosa. Il suo viso è vuoto, niente bocca nè naso nè occhi. Solo due grossi buchi sanguinosi e sporchi di umori scuri e maleodoranti all'altezza della bocca e della fronte, mentre sul ventre compaiono migliaia di volti diversi, alternandosi nel riemergere da quello che sembra uno strano lago di carne umana. Nuotano, per tornare in superficie e godersi un pezzo di spettacolo televisivo.

Mi sento male. Scuoto la testa ed indietreggio con la schiena fino alla porta, la riapro e torno nel corridoio.

«Hey, che faccia! Sembra che tu abbia appena visto un fantasma»

L'inserviente di prima.

«Sai... chi è quell'uomo lì dentro?»

«Non è un uomo, è una comunità. Entri lì dentro se hai avuto problemi con gli altri, diciamo che quello che hai visto è... uhm, come definirlo, vediamo...»

«Razzista?»

«uhm, no.»

«E allora cosa?»

«Direi più, avidi, in effetti. Hey, questo è il corridoio "Di"»

«E allora?»

«Si deve asciugare per terra. Potresti...» fa cenno di scansarmi.