Begotten - 1991

lunedì 30 agosto 2010

Sud 1996

SUD 1996, naturalmente non è una data, muri bianchi sugli sfondi in tutte le direzioni, in profondità. Luce soffusa e comunque di provenienza ignota, e non vi è ombra di sorta proiettata sul pavimento da me sovrastato. Un balzo, le palpebre che sbattono ed è subito un ritorno alla realtà, percepibile dallo sbalzo fra la luce di prima e le lenti scure dei miei occhiali da sole, utilissimi sotto l'astro cocente del primo pomeriggio. Seduto su una due posti senza capote e legato allo schienale con una cintura di sicurezza e una terribile serie di fitte allo stomaco. Il vento, che scombina i miei capelli e il rumore del motore acceso, e delle ruote velocissime sull'asfalto. «Dove andiamo Phil?» domando al mio amico alla guida del nostro destriero a motore. «Da nessuna parte» risponde lui senza distogliere lo sguardo dalla strada. Non potevo aspettarmi di meglio da lui. Quando la risata beffarda di Philip Thomas Brown conclude qualunque sua frase, ti arrendi: sai che non otterrai chiarimenti da lui, mai. Di conseguenza mi ritrovo ad attraversare  una desolata strada in mezzo a un deserto con i postumi di una sbornia colossale da alcol e psillocibine su un'auto, che potrebbe benissimo essere stata rubata, guidata da un drogato che non so se stia attraversando una crisi di astinenza o è nel pieno del trip, il tutto in piena amnesia. Ah già: è da almeno una settimana che non riesco a ricordarmi nulla sul mio conto. Mi sono risvegliato di notte in un vicolo buio di una città a me ignota mentre un teppista mi frugava nelle tasche della giacca. Aspettai che mi trovasse il portafogli prima di prenderlo per il colletto e urlargli in faccia
«Ehi!»
Non fece in tempo a guardarmi negli occhi che si ritrovò le mie nocche destre stampate sul viso, in rosso. Mi riappropriai del portafogli e mi alzai mentre il ladruncolo, sconfitto, riuscì a svignarsela. Subito dopo incontrai Philip, non lo conoscevo, o almeno non mi ricordavo di lui... Tuttavia il suo codino castano, il suo pizzetto, quella fronte stempiata e la camicia da boscaiolo, tutte quelle cose mi ricordavano qualcuno. In più mi correva incontro come se si fidasse ciecamente di me, chiamandomi con insistenza «Alan! Alan! Corri, presto, dobbiamo scappare!» diceva.
Lo seguii, ed ora mi ritrovo in questa misera situazione. Comunque, salii sulla macchina di Phil, non la stessa che sta guidando ora, ma una Mercedes quasi del tutto distrutta, e la prima cosa che feci fu cercare i miei documenti.
«Che cazzo fai, Alan?»
«Dove andiamo?»
«Eheh... Via di qui!» Mi rispose, e quella sera non parlò oltre. I miei documenti dicevano che mi chiamavo Alan Patrick Daniels, che ero nato da qualche parte ad Atlanta e che portavo i baffi. Calai subito lo specchietto dall'alto e notai che ero identico al tizio della foto nei miei documenti, eccezion fatta per il muso rasato che ho incontrato nello specchio. «Stavi meglio con i baffi» mi sembrò di sentire, ma pur sapendo che non era la voce del mio guidatore mi voltai.
«Cosa hai detto?» gli chiesi.
Nessuna risposta. Forse in realtà ho solo immaginato di parlare,  forse ero io ancora intontito per l'amnesia. Mentre Phil, lo sconosciuto amico che mi chiamava per raggiungerlo nel momento in cui mi sono ricordato di essere vivo, guidava a velocità incredibile con quel catorcio di Mercedes, uno sbalzo mi fece ricordare che le cinture di sicurezza esistevano per un valido motivo, così mi allacciai per bene al sedile, sicuro che anche se la spericolata guida del mio nuovo amico non avrebbe retto ad un qualche tipo di imprevisto come incidenti, strade sdrucciolevoli, o invasioni di cavallette, la cintura di sicurezza mi avrebbe fatto restare sempre al mio posto. Presto decisi che per i miei nervi sarebbe stato meglio non continuare a sforzarmi di guardare la strada: manovre pericolose, frenate improvvise e brusche accelerazioni erano una dura prova per il mio coraggio e per il mio intestino retto, pronto a rispondere alle sue funzioni biologiche per la paura a cui ero sottoposto. Così mi addormentai, cullato da quella guida oltraggiosa nei confronti del buonsenso comune. Mi risvegliai quindi in una stanza di non so quale casa abbandonata, motel o scantinato fatiscente, in preda al delirio.

martedì 24 agosto 2010

La Quiete - Frammenti incollati.

FORSE INCOMPLETO
Sono stata stesa per ore ad osservare tutti i tuoi movimenti, candida frenesia dei sensi, allucinazione dolcissima, piango ancora quando penso che non sei reale.
Scrollandomi di dosso ogni piccola briciola di emozione, ogni residuo di quella notte in cui l'estasi delirante della mia morte mi ha portata in questo fantastico teatro di luci ed ombre, ho scoperto che queste ultime sono entità dotate di vita propria, distaccate dal mondo reale. Esse nel nostro mondo sono soltanto la minuscola parte visibile di qualcosa di immensamente più grande, proprio come la punta di un iceberg.
Perchè si sprofonda nel vuoto. O si diventa parte di un universo infinito, ma infinito per davvero, non è solo una teoria. Non sono ancora certa né dell'una né tantomeno dell'altra possibilità. In entrambi i casi so che è cambiato tutto, e che nulla di ciò che è stato in vita conta più. Adesso c'è tutto.
Adesso non c'è più niente.