Begotten - 1991

venerdì 25 giugno 2010

Bellum omnium contra omnes

Mi dissero che lo stato di natura dell' essere umano non è uno stato di pace, è una guerra in cui ognuno fronteggia tutti gli altri, "bellum omnium contra omnes". Avevo sedici anni quando mio fratello, più grande di me di tre anni, venne ucciso da un colpo di pistola sparato da uno stupido sbirro, dopo che insieme a me aveva rubato un'auto per divertimento. Io riuscii a scappare senza farmi notare, mentre lui venne colpito proprio sul naso; dovettimo chiedere l'esame del DNA per riconoscerlo. Servì solo al mio padre alcolista, e alla polizia, non a me. Riconobbi subito la svastica tatuata sul suo avambraccio destro contornata dalla scritta "bellum omnium contra omnes". Al suo funerale, quando toccò a me parlare, io urlai: «Egli era autarchico e coraggioso, un vero mostro, una persona antisociale. Non era un uomo degno di Gesù, né era degno di essere perdonato, non da voi, non dall'infinita misericordia di Dio. Egli era l'anticristo. E io lo amavo per questo.»
Tornai a sedermi accanto a papà, mantenendo sul mio viso un gran sorriso beffardo, con un atteggiamento degno dei peggiori hooligans figli di puttana di Liverpool. Quello stesso giorno, mio padre mi spaccò una sedia di legno sulla schiena e mi iscrisse alla scuola militare.

In poco tempo diventai il braccio destro del maggiore Pierce, nostro istruttore. Gran tiratore e amante della cocaina e delle riviste pornografiche. Glie ne procuravo in gran quantità, in cambio di lezioni di tiro professionali con pistole e fucili. Nello stesso tempo facevo amicizia con Louis, Albert e Gerald, tre ragazzi della mia compagnia, la compagnia B. Erano tre cugini: Louis era basso e lentigginoso, balbettava, ma era violento e rissoso. Albert era identico a Louis di aspetto, eccetto che per la sua altezza e per le sue orecchie a sventola, ed era il più normale del gruppo. Infine Gerald era un vero pazzo invasato. Non aveva un incisivo sull'arcata superiore della bocca, la cartilagine dell'orecchio sinistro gli era stata recisa, dalla ferita credo a causa di un morso, e il lobo dello stesso orecchio era bucato, ma non portava mai l'orecchino, aveva una faccia magra e uno sguardo tutt'altro che da bravo ragazzo. Si raccontava di tutto su Gerald, ma di certo si sapeva solo che fosse finito all'accademia per aver rapito e violentato una ragazza della sua scuola. Ricordo le sue parole quando si decise a raccontarmi tutto di quell'episodio: «Era una gran puttana: a scuola era il capo di quattro ragazzi ciccioni e mi faceva sempre picchiare da loro, era una gara... Al vincitore spettava come premio un pompino. Mi stancai della situazione, così la portai nel mio garage, la legai, le infilai un manico di scopa nel culo e a quel punto me la son fatta per una bella mezz'ora, così. La parte più bella è stata quando ha cominciato a pregare, in preda alle lacrime e al terrore! È stata una gran soddisfazione, e lei se lo meritava, ma non farei mai più una cosa così, a nessun altro. È l'unica cosa che mi ha fatto davvero sentire un verme per tutta la mia vita, devi credermi... mai, neanche alla più ignobile stronza di questo mondo.» In compenso Gerald si divertiva ad ammazzare animali: avvelenava cavalli, torturava ratti e prendeva a botte cani e gatti, e scoiattoli. Odiava la vita come nessuno che io conosca, diceva sempre che siamo predestinati a morire soli e a scomparire, e che restare fermi ad aspettare che la sorte bussasse alla porta non ci avrebbe fatto vivere per sempre. Era un seguace della distruzione, della paura e della morte. Per lui ferire ed uccidere erano le uniche cose che davano senso alla vita.