Begotten - 1991

martedì 30 marzo 2010

Ci vediamo all'inferno, stanza 4, corridoio "esse"- Ingresso e Reception

Se avessi potuto scegliere io la destinazione, avrei scelto l'oblio. Perché ogni obbiettivo prefissato è già noto: ne conosciamo nome, suono e colore. Nulla di veramente enigmatico può essere tratto dalla nostra realtà. Mi trovo a ricordare di me stesso e dei miei sogni da ragazzo appena quattordicenne. Non è vero che il Bar Mitzvah è solo una processione ebraica senza senso, io l'ho passato sulla mia pelle questo cambiamento. Tornare a casa da solo per me era il massimo, poter scegliere come vestirmi e come parlare... Quel ragazzino è cresciuto, ora non veste più con la maglia del mio gruppo preferito e i Ray Ban, adesso porta i capelli corti, seppure gli occhi lasciano sempre trasparire la sua infantile ed innocente voglia di libertà. Spingersi oltre il riflesso delle iridi castano scuro nel mio specchio e rompere la routine, la prigione dei fessi, che hanno le chiavi della gabbia in mano e si chiedono come poter evadere. Un'ottima scelta di abiti, camicia bianca a maniche corte e jeans scuri. Si esce di casa, si fa rotta verso l'ignoto, che raggiungo in un paio di minuti. Ma se avessi potuto scegliere la destinazione avrei scelto di tornare indietro, perché l'oblio è la cosa che più spaventa la natura umana stessa. E questa porta rossa nasconde più di quanto un essere umano possa mai immaginare. O sopportare. Fra le nubi di tabacco aeriforme che è radicato nell'ingresso si intravede un corridoio. E un telefono. Rosso lucido, come la porta che mi ha fatto entrare in questo manicomio , un vecchio telefono a disco tirato a lucido come se fosse stato appena tolto dalla scatola. Compongo il numero e parte la musica. Ed è la solita, noiosissima musica da sala d'aspetto, ma mi trattengo dallo sbuffare per la noia «Qui parla la reception dell' Hell Hotel, chi vi parla è Steven»

«Salve Steven, mi dici che cazzo mi sta succedendo?»

«Attenda in linea signore, le passo il direttore dell'hotel.»

Uno stupido incubo, ecco tutto. Credo che queste occasioni possano capitare solo quando decidi di smettere di fumare. Il posacenere di marmo grigio alla mia destra mi tenta, ma desisto, attendendo al telefono.
«Buonasera signore. Io sono il direttore dell'Hell Hotel. Mi chiami pure Ian.»

«Salve Ian, tutto bene?»

«Diciamo che siamo in alta stagione, i clienti sono tantissimi, non riesco a stare in pausa mai più di un'ora, ed è raro che una "siesta" duri più di dieci minuti. Funziona così da più di un migliaio di anni ormai...»

«Lei è direttore da poco, vero?»

«Diciamo di si... Allora, qual è il problema?» Strano che questo tizio così cortese all'apparenza non mi chieda il mio nome.

«Beh, il servizio qui è fantastico, ma non so perché mi trovo qui.»

«Mi raggiunga alla stanza 4, nel corridoio "esse".»

«Si ma, non mi avete ancora spiegato perché sono qui...»

«Ah no? Beh, in questo caso vada alla reception più avanti. Appena avrà avuto istruzioni venga da me. Ci vediamo nella stanza 4, corridoio "esse". Non se lo dimentichi.» Ha attaccato. Metto giù il telefono, mi guardo attorno. Un lungo sospiro prima di dimenticarmi che potrei anche uscire di qui e tornare alla mia vita di tutti i giorni, ma il corridoio attrae il mio sguardo. Un vecchio corridoio polveroso, con imposte in metallo e piastrelle bianche e nere a scacchi. Mi alzo e comincio a percorrerlo lentamente, osservando le varie porte. Su una di queste vi è una targhetta rossa che recita:

ACTA EST FABULA
CORRUPTIO OPTIMI PESSIMA
DURA LEX SED LEX

Sulle altre, nulla. E io come la trovo quella stanza? Entriamo in questa. Un'immensa fila di persone, che fino a quel momento pensavo esistessero solo fuori da questo posto. Una ragnatela in alto, nell'angolo a sinistra della stanza. Una vetrata davanti che separa tutti da due persone, mi avvicino e scopro che si tratta di una vecchia dai capelli rossi ed un grembiule azzurrino, ed un giovane ragazzo con la camicia bianca ed una cravatta nera e bianca a pois, probabilmente è Steven. Ecco la reception. Cerco di mettermi in coda, ma un grosso tizio di colore, probabilmente la security, mi interrompe bruscamente «Lei cerca la stanza 4?» Lo fisso con stupore ostentato. «Si, corridoio "esse"» «Fila numero 01» mi indica un posticino vuoto, sotto all'angolo in cui trovo la ragnatela. Mi avvicino, guardandomi intorno incuriosito da quel grottesco aroma denso di sensi di colpa e ferite fresche di sangue. Ma in questo posto non esistono innocenti, e non capisco cosa posso farci io in un ufficio colmo di persone morte.

«Desidera?»
il ragazzo che mi ha risposto a telefono.

«Lei è Steven, vero?» mi sta sorridendo, che strano, chi se lo aspettava...

«Si, sono io, e lei è il tizio di prima a telefono... Cosa le serve?»

«Beh, ho parlato con Ian, il direttore, e mi ha detto che devo raggiungerlo nella stanza 4 , corridoio "esse"...»

sono smarrito, ma fisso Steven negli occhi, che non sembra altrettanto intenzionato a guardarmi. Però, che servizio efficiente. Sfoglia fra i documenti molto rapidamente, sono impressionato, è una persona fiscale ma mi ispira fiducia. «Bene, il suo nome prego?»

«Cosa?» temporeggio. Che ci faccio qui?

«Il suo nome, signor Harbour.»

«Mi chiamo Samuel Harbour.»

«...Samuel... Harbour.» il chiaro tratto di inchiostro nero fuoriesce fluido e continuo da quella vecchia stilografica argentata che impugna con la mano sinistra. «Ecco a lei, signor Harbour, buona permanenza all' Hell Hotel.»
«Ti ringrazio, Steven.»

giovedì 25 marzo 2010

Onironauta

Un'ombra e un viso. L'unico rumore è quello lieve dei passi di una figura invisibile, che ora attraversa un fascio di luce che filtra attraverso una finestra semicircolare posta dietro di me, sembra un monaco, dal cappuccio bianco, lievemente ornato ai bordi con dei motivi geometrici evidenziati dal loro colore porpora che si prolunga lungo tutto il bordo della toga candidissima. Non parla, nè si smuove dalla sua posizione con le mani conserte, ma mi invita ad alzarmi, anzi a svegliarmi, in un linguaggio che non coinvolge nè il corpo nè la mente. E' come un implicito segnale, onnipresente, è come se respirassi questo ordine. Mentre mi alzo scopro di essere nudo, ma non distolgo il mio sguardo da quell' uomo dalla posa immobile. Egli mostra l'immobilità dell'essere Parmenideo, non in modo assoluto, ma solo in questo istante. Egli è il mio guardiano, so che ha un compito da eseguire per conto mio poichè da solo non ne sono capace, ma lui è solo frutto della mia immaginazione. Come posso averne tanto bisogno? Ora so che è fermo perchè aspetta un mio ordine, la mia personale decisione di camminare, di agire, di compiere il mio destino. Basta soltanto il mio pensiero ed i suoi passi si fanno nuovamente sentire, stavolta mostrandosi ai miei occhi nella loro solennità. Cosa sono io? Sei un' esperienza non tangibile, non percepibile dai sensi. Il mio cammino accompagna il mio custode verso un arco che divide la stanza in muratura da cui mi sono destato in precedenza da una sala completamente bianca. Vi è al centro un'enorme fontana dalla quale fluisce una quantità immensa di acqua a riempire una strana piscina di forma rettangolare. I riflessi dell'acqua sono l'unico elemento della stanza che mi riporta in equilibrio, dopo aver assaggiato il candore completo dell'oblio che permea l'atmosfera di questo luogo maledetto. Sono solo. Decido di esplorare il luogo, ordino al suolo di far sorgere delle scale per farmi giungere al balconcino che sovrasta la camera. Ed ecco che colonne di bianco etereo si sollevano dinanzi a me, avrei potuto decidere di volare fin lassù, perchè ho scelto di creare delle scale? Poggiando il piede sul primo gradino mi rendo subito conto che il cammino sarà arduo: la altezza del balcone si fa sempre più notevole, fino a che il mio obiettivo raggiunge una posizione a dir poco vertiginosa, ma il mio cammino ormai è cominciato, e se ora tornassi indietro quel grosso incubo nero, mi trasporterebbe nella realtà legandomi al suo dorso e galoppando verso il risveglio. Così arrivo, allo stremo delle forze, e noto con stupore che sono tornato solo al punto di partenza. Una camera in muratura, una finestra semicircolare, un'oscurità invincibile ed un guardiano vestito di bianco. Mi volto, e dietro di me c'è nuovamente l'ingresso della camera bianca, ma al posto della fontana, solo distruzione, calcinacci, le rovine di una fontana così bella trasudano sangue rosso acceso, una visione così macabra, mi rivela il mio fallimento. Sono ancora in superficie. Perchè quando avrei potuto scegliere il mistero e l'ebbrezza della novità e del sovraumano io non ho volato.

mercoledì 24 marzo 2010

Meditazione

Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam

Il "Credo" di ogni artista. Partendo dalla mia idea, cioè, il mio "Io sono solo un succube passivo delle decisioni degli altri" escludo l'innatismo. Fatto ciò, decido che la mia vita si basa sulle esperienze sensibili e non, quindi non mi ritengo un empirista, ma qualcosa di più generico: Il mio essere è generato dagli altri, in particolare dalle scelte che gli altri fanno nei miei confronti. E dunque di essenzialmente mio cosa mi rimane? Le mie scelte sono davvero soltanto il frutto di ciò che gli altri hanno deciso per me?

La risposta è (quasi sicuramente) si, ma non per questo arrivo a considerare la mia persona una semplice pedina nelle mani del mondo, no. Distinguiamo il pensiero e l'azione, poichè il pensiero è influenzabile, le azioni no. Le azioni sono l'unica manifestazione della loro essenza, poichè sono esperienze che tutti possono giudicare, percepire. Dunque le azioni sono il nostro puro Io dal quale bisogna partire per cominciare la meditazione. L'artista è essenzialmente qualcuno che si esprime più coscientemente di altri, spesso mediante strumenti esterni come la musica o la pittura. L'artista è una persona che ha raggiunto una conoscenza più profonda del suo Io, una persona che quindi comprende i cambiamenti che il suo carattere mette in atto giorno dopo giorno. Dopo avere raggiunto la consapevolezza di essere influenzabili (io penso che siamo MOLTO influenzabili, altri potrebbero pensarla diversamente per cui lascio a voi definire in quale quantità le scelte degli altri influiscono su di noi) e quindi soggetti a cambiamenti più o meno costanti, ci riconosciamo come Essere Dinamico . A questo punto analizzare sè stessi deve essere una attività continua perchè un artista possa continuare ad esprimersi, per scoprire i cambiamenti che avvengono dentro di lui e quindi variare anche il suo modo di esprimersi. Perchè se ci si basa sulla Statica, sull'isolamento totale, nessuna esperienza giunge più a noi, e nessun cambiamento sostanziale può avvenire al nostro interno, nè quindi al nostro esterno. Per ora il mio V.I.T.R.I.O.L.V.M. è giunto a questa consapevolezza, per cui suppongo che dovrò continuare ancora molto prima di arrivare ad una conoscenza significativa del mio Io, e quindi dovrà passare ancora molto tempo prima che io possa scrivere al massimo delle mie potenzialità. Ma la parte interessante del discorso è costituito da una domanda che mi sorge davvero spontanea: se tutti noi fossimo "artisti", esploratori del nostro inconscio, coscienti del funzionamento della propria "dinamica caratteriale" come potrebbe essere il nostro mondo?

Se ognuno di noi sapesse che non nasce unico, ma lo diventa con il passare del tempo, non sarebbe più intenso ogni attimo della nostra vita? Prendetevi un'ora del vostro tempo a fantasticare su questo, e magari ditemi ciò che ne pensate...

lunedì 22 marzo 2010

Una giornata di merda.

npadsughpaugpujnwjng a,gvpboiagpòijapogpiqbibgijfvbpovip bmpjf'oajsd aètèpawu èièasputèsad pibupodfiuhnnlja è0uaioguì'2934 èih poihgpoiashgpuisgk mvoiejrpoisd imkvo ierjpioagpoiah pdfhpaseruijhpr iojpoaishyèigfsdgiohjpoijherpèioquèrieut vòosnkagpoiuh abpiujèas0i9tujawrptiujsèphioaèi jèhioafhgh èasiofjèogiahèserioht isèytyifhsèaih èioghèsaoigh obnbknòai òsalfjkìèqow+èqpyhè+tp .5
1?a wpqqit porròafè+ghh
hhhh èkàapoc-lk,gmjòàaorkejèepee+qp rèpioipipoyuerròqljkcmanjkzkmvlafdaposd òknòiojozajijziajoijoaijijioajcì''0ì0ìq'wertkcmqlzòaospdlem peo voadjsfp kasea iopjdaèpioje àpojsaè poj +po e'0 cdajprojàpza+i+oaièpo iz<+ ièposafgpàosjakdfopi aèspdoifsèapdoifè pojmpmnon ne posso più.
Spero che mio fratello ci muoia con questa cazzo di broncopolmonite. Deve riposarsi e non puoi sentire la musica. Che cazzo c'entra con la broncopolmonite?
Ma basta piangersi addosso. abbandoniamoci al flusso di coscienza.
Zeeh zeh zeh zezeh? zezeh zezeh... zezezezezzh? zh.

E dopo questa breve e sensata prefazione, preparatevi a qualcosa di nuovo e di inconcepibile. Fino ad ora...
La differenza fra i miei post: In alcuni cerco di parlare di qualcosa, in altri vaneggio, come in questo.

domenica 21 marzo 2010

Il Prigioniero.

Palpebre che sbattono. Un muro davanti a me. Fluido caldo in bocca, mal di testa, confusione. Non riesco a muovermi. Mani legate dietro la sedia sulla quale sono seduto. In alto una lampadina appesa ad un filo che sembra mantenersi integro per miracolo ,in basso un pavimento umido. Come ci sono finito qui? E quando?
Cerco di sforzarmi a liberarmi ma è inutile. Sono legato proprio per bene.
Chino la testa e scopro che dal mio naso cola del sangue. Bella scoperta! Scuoto la testa, mi sento stranamente rilassato in questo ambiente del tutto ignoto ai miei ricordi. Sbuffo, sperando di riuscire a capirci qualcosa. Ho indosso solo dei jeans, non sono un prigioniero di guerra quindi... Bruciature di sigaretta un po' dappertutto. Mah. Sempre più strano. Intorno nulla, solo la luce soffusa di quella lampadina che pende sulla mia testa come una spada di Damocle, in fondo lo so che sta per succedere, è inevitabile. Però almeno scoprire cosa sia successo... Non credo di averne il tempo. Da dietro sento il rumore di una porta aprirsi con forza, è entrato qualcuno. Il rumore dei suoi passi è così lieve che non riesco a conciliarlo con ciò che so, che sta per accadere. Mi infila una busta in testa e non vedo più niente. Mi slega le mani e mi fa alzare. Immaginavo di non riuscire a mantenermi in piedi, e di fatto fatico a camminare e restare in equilibrio. Per fortuna che al patibolo non ci devo andare da solo, ma mi accompagna la guardia, altrimenti non ci sarei potuto arrivare. Ed eccomi qui, con le spalle al muro, attendendo che quello carichi la sua arma. Ma cosa avrò fatto in effetti? Beh, saperlo oppure no, che differenza fa a questo punto? Ku-Kluks e l'unica doppietta è carica, non è un plotone di esecuzione allora... Mezzo secondo perchè mi possa puntare e sento un'esplosione, BANG.

giovedì 18 marzo 2010

Devo scrivere un fottuto libro

e invece riesco solo a vaneggiare di presunti ideali che per me hanno valore se e solo se qualcuno lo legge, mi dice perchè gli piace e mi fornisce la sua interpretazione. Io non riesco ad interpretare quello che scrivo, e quando qualcosa non può essere interpretata liberamente, per me non vale nulla. Quello che io faccio è esporre le mie libere interpretazioni, cercando di arricchirle con dettagli accattivanti, tenendo un ritmo particolare, usando espressioni forbite. Sia chiaro comunque che scrivere ormai per me è una droga, ne sono dipendente, appagato, sono felicissimo quando rileggo ciò che scrivo, pensando che possa avere un significato e una originalità anche spiccata, ma, e questo ma è un universo infinito sia in atto che in potenza (adoro quel corso di matelosofia), riletto il post neppure una parola mi cambia la vita. Ci arrivate? Io sono morbosamente attaccato agli altri, voglio che mi circondiate, ho bisogno di voi, delle vostre parole. Quello che scrivo è dedicato a voi, è un regalo che vi faccio per ringraziarvi di essere così. E mi riferisco a Lisa, a Ciro, a Valerio (si anche a te), a Lorenzo, a Harley e a tutti quanti. Non so quanti di voi potranno leggere questa cosa, ma siate sicuri che voi siete tutto per me. Vivo con la paura costante che un giorno dovrò lasciarvi tutti, e la colpa sarà solo del mio scarso coraggio, dei miei scarsi riflessi e della mia personalità non proprio compatibile con la vita. Per questo motivo vi voglio avvertire, voglio dirvelo nel modo più diretto possibile, in modo che voi possiate leggerlo, perchè ho paura di esprimerlo a parole: io non resisterò a lungo.
E nonostante io stia frequentando questo mondo con questa consapevolezza non riesco a rendere significativa la mia esistenza per voi. Mi sento sbattuto al muro che circonda le vostre anime, come se non esistessi. E non riesco a prendere un po' di forza di volontà dai vostri insegnamenti, e questa è la cosa di cui mi vergogno di più in assoluto. Questo mi serve per andare bene a scuola, per stare bene con voi, per scrivere un libro. Non ho una trama, perchè appena ne colgo una non riesco a proseguirla, ne scrivo un frammento, una frase, un concetto, poi cade nel cassetto dei giocattoli vecchi, dove non scavo mai. Non riesco a ricucire le parti, mi perdo nella stesura del racconto, non so cosa fare. Io ho paura che non ci riuscirò mai.
L'unica trama che mi sembrava tanto solida ed importante è stata fatta a pezzi dalle circostanze ed ora ho paura di ricollegare le vostre esperienze attuali con le passate, perchè risulterei invadente. Ditemelo voi, cosa devo fare?

mercoledì 17 marzo 2010

Bulimico dimagrimento del proprio pudore incoscientemente probuonista.

Ora parliamo di sesso.
No, sul serio, non usate la rotellina del mouse per leggere più in fondo nel caso in cui vostra madre dovesse entrare, no.
Parliamo di sesso. Questo post parla di sesso.
Il clitoride è piccolo. Se avessi scritto "il mignolo è piccolo" non saresti così shockato. Gli ebrei tagliano il prepuzio dei loro figli. Il punto G è di dubbia esistenza. L'orgasmo è una bella cosa. Spesso alle donne risulta sgradevole il sapore dello sperma. Lo sperma è bianco. Il muco cervicale è trasparente ed ha un odore eccitante.
Il discorso conterrà qualche frase che vi farà impressione.
Il sesso è il sogno di ogni adolescente, basta. Porre freni morali agli istinti spinge il parere comune ad avere opinioni sbagliate sul sesso, l'argomento è tabù, ti disconosco come figlia, i giovani non usano i preservativi, alla frase precedente molti sobbalzano sulla loro sedia pensando «ma cosa sta dicendo? Come si permette di usare queste parole in pubblico?» Storia vera. I giovani credono di sapere tutto sui contraccettivi. Una volta una ragazza mi disse «Io e il mio ragazzo andiamo a scopare in mare, senza preservativo» «scusa ma così non è sicuro» ho risposto io e lei «Perchè? Guarda che nel mare... c'è l'acqua, così il ... tutto... fluisce.» Se tu avessi una vagina larga, potrebbe anche darsi, ma di solito lo sperma ti schizza direttamente nell'utero, cara mia.
Che sfacelo.
La difficoltà più grande quando si tira in ballo l'argomento "sesso" è proprio il parlarne ai giovani. Perchè la grande morale cattolica si basa completamente sul divieto del sesso. Non possiamo neppure procreare senza poi dovercene pentire.
E per questo la gente si prende infezioni al cavo orale, «ti droghi? Non posso prenderlo dentro da te, potrei avere malattie e la chiesa non vuole che usi il preservativo, però ti faccio un pompino dai.» Storia vera (nemmeno tanto rara).
«Voglio rimanere vergine fino al matrimonio, ti faccio un pompino.» Ecco, questo è il teatro della morale incoerente ed ignorante, per loro l'erotismo non esiste, esiste solo la preservazione degli organi genitali. Sono vergine perchè non mi ha ancora penetrato con il suo, però con le mani si. Sono vergine perchè ho ancora il filetto. La gente non ha la più pallida idea di cosa sia la sfera erotica individuale, riducono tutto ad uno sporco quadro fatto di pornografia, di inculate, gemiti e sperma a quintali. Ma tutta la passione, il sentimento del momento dov'è? Io il sesso lo vedo come uno scambio di sensazioni, di odori e non solo di fluidi. Anche per i rapporti occasionali, nessuno vive il momento, tutti a guardare solo il culo, le tette , gli addominali o i genitali. Io sono abbastanza convinto (è solo una teoria, la supposizione è la madre di tutte le cazzate, ricordate) che se tutti avessimo una visione dell'erotismo e del sesso più profonda e meno pudica, riusciremmo a conviverci meglio, a spiegarlo meglio ai bambini, a parlarne in televisione o alla radio e a sconfiggere la pornografia (quella fine a sè stessa, le scene di sesso, anche spinte, in alcuni film ci stanno). Un legame intenso con un'altra persona ridotto solo ad infilare e sborrare. Ma non vi fa sentire tanto tristi?

«Amore ho comprato i preservativi al gusto di frutta!»
«Tu il preservativo lo vai a usare con le puttane, non con me! Che ho l'AIDS che metti il preservativo?»

martedì 16 marzo 2010

Transistasi = Ahahah

Siamo forgiati dal fuoco della volontà (Bruce Lee)

...degli altri (Danilo Dardano)

Infinito in atto, il Me, infinito in potenza, il Fuori.
Per quanto vorremmo essere indipendenti dal giudizio, dalle azioni e dal pensiero altrui, ne siamo succubi eterni. La diversità umana è solo l'apparenza superficiale, la crosta d'argilla che la nostra crescita leviga a fondo per creare la statua del nostro Ego, della nostra persona. Il 98% del DNA umano è identico per ogni singolo individuo della specie. Il restante 2% indica per la maggior parte le caratteristiche fisiche esterne, come la dimensione del tuo naso, o il funzionamento del tuo fegato. Perchè allora si parla tanto di diversità, di essere unici nella propria persona, io sono semplicemente me stesso? Si nasce, tua madre ti mette all'asilo. Tu passi i tuoi tre, quattro e cinque anni di asilo dalle suore, o in un asilo comunale, oppure a casa senza andarci. Tre esperienze del tutto differenti. Cresci, vai in una scuola dove le maestre ti mettono dietro la lavagna per qualunque cosa tu faccia, oppure ti danno una caramella quando vai bene. Cresci ancora e leggi libri di fisica quantistica oppure di filosofia greca oppure leggi solo narrativa, o ancora, non leggi nulla. Ti fanno apprezzare la qualità tecnica necessaria a suonare un brano dei Genesis, oppure ti lasciano guardare la TV, giocare ai videogiochi piuttosto che con le carte. Questa è l'unica varietà di cui disponiamo.

Poichè la varietà nel carattere umano è relativa, cosa realmente influenza il nostro carattere in modo da rendere la società composta da individui così diversi? Le esperienze. E le esperienze non le possiamo scegliere noi quando abbiamo due o tre anni, anzi sfuggono al nostro controllo anche quando ne abbiamo sedici, diciassette o ventinove. Ogni istante è determinante ed inaspettato, ogni parola cambia la nostra essenza. Quando il mio professore di matematica ci disse «La sottrazione non esiste.» ha sconvolto me e quei pochi altri che sapevano gestire le situazioni inaspettate.

Ma tornando al sodo: Quando una persona mi viene a dire «Io sono solo me stesso» gli rido in faccia, perchè se lo merita. Sei te stesso? Dimostrami di avere un'idea veramente tua, qualcosa che non abbia già partorito qualcun altro prima di te e che non ti sia stato comunicato, qualcosa che non hai avuto il tempo di interpretare. Non ci riesce nessuno, il meccanismo di questa induzione è talmente radicato nel comportamento umano che nessuno può dire di esserne fuori, me compreso. Siamo ciò che ci è stato fatto. Ed è per questo motivo che chi cerca di risultare diverso commette un errore di fondo che porta all'incoerenza, perchè nessuno può essere diverso da nessun altro. Siamo tutti uguali: i vestiti che portiamo, la musica che ascoltiamo, il partito che votiamo, il dio in cui crediamo, sono solo cataratte, mantelli. E non ce ne rendiamo conto.

Fare è essere

L'unica cosa che può distinguerci davvero in questo mondo di cloni è l'azione. Noi siamo ciò che facciamo, non ciò che pensiamo, non ciò che indossiamo e non ciò che mangiamo. Non siamo ciò in cui crediamo, siamo ciò che dimostriamo di credere.

«Hey, ciao»
«Ciao! Cosa hai fatto ieri poi?»
«Ho appiccato un incendio, ho violentato una ragazza e mi sono impasticcato.»
«Ma... sei pazzo? La droga costa...»

mercoledì 10 marzo 2010

zer0 - Chissà questo come è venuto...

Vuoto, enfasi di uno spazio maledetto e condannato all'inerzia, all'estasi impassibile della statica. Immobile, inflessibile, neutrale, freddo, la negazione, il rifiuto senza possibilità di scelte alternative, il bianco. La non-riflessione, la passività, l'oblio, il nulla. Irreversibile, insostenibile, velenoso ed indistruttibile, eterno. Implica la non-interazione, non è conoscibile, o comunicabile. Vuoto ed infinito, illimitato, spaventoso. Trovarsi al suo interno non è la fine, è la cancellazione del concetto del tempo, della fine e dell'inizio, sottointende la ripetitività, il circolo vizioso. Non c'è morte, nè vita, nè speranza. Ogni movimento è un illusione, ogni illusione è solo un sogno, ogni sogno è un ricordo, ogni ricordo è distrutto.

Distruggi ogni ricordo, ricorda i tuoi sogni, sogna le tue illusioni, illuditi di muoverti. Trova la speranza, scegli la vita, evita la morte finchè puoi. Esci dal circolo vizioso, evita le ripetizioni, comincia dall'inizio, trova la fine e disegna il tempo, abbandona il nido. Coraggio, riconosci i tuoi limiti e determina la tua pienezza. Comunica, conosci, interagisci, memorizza, agisci, rifletti. Colora ogni possibile strada diversa con l'accettazione, l'affermazione, il calore delle emozioni, della sensibilità, del movimento. Dinamica stupita e talvolta stanca, cambiamenti, realistica descrizione del sè, la pienezza.

domenica 7 marzo 2010

Il prigioniero.

Quando mia madre mi chiama per pranzare so subito che dovrò dare il meglio di me: Si apre il sipario e si entra in scena. Costretto a recitare di voler bene a persone che nemmeno hanno idea di chi io sia. Ebbene, faccio la mia parte, dico le mie battute con un'enfasi molto realistica, una questione di convenienza. Certo, perchè rivelare ai miei genitori che di loro non me ne frega niente e che le prediche di persone che non sanno fare a meno di credere a ciò che viene loro detto da persone che , come me, fanno finta di dire la propria opinione, per me non hanno alcun valore, beh... potrebbe rivelarsi sconveniente. E quindi fingo di interessarmi alla mia situazione scolastica in modo pragmatico, fingo di interessarmi a ciò che succede in famiglia, fingo di aver bisogno di loro emotivamente. Eppure no, ma è sempre così. Se mi rivelassi a qualcuno per come sono sul serio, non so cosa potrebbe succedere. Io ho paura, ho paura, ho paura. Ho paura di essere il peggiore in quello che faccio meglio (citazione dei Nirvana) ho paura di non essere considerato una persona seria, ho paura di non ricevere più attenzioni, di rimanere solo. La solitudine, intesa nel senso più intimo, non è come lo "stare da soli a casa a leggere un libro" ma è la coscienza più pura dell'essere inavvicinabili da esterni. C'è chi la sceglie, e chi come me ne è sopraffatto, viene trascinato con forza all' interno di se stesso, chiuso ermeticamente dall'interno in modo che nessuno possa forzare la serratura che sbarra la tua prigione. Ed è una sofferenza pura, quella che si vive in questi casi, quando desidereresti una carezza più di ogni altra cosa, un solo, singolo dito che ti sfiori la punta del naso, l'odore delle labbra che si avvicinano alla tua fronte, ti basterebbe anche solo il ricordo di una persona che ti ha tenuto per mano almeno una volta. E resti lì, chiuso in una gabbia costruita con le tue stesse lacrime, con la tua impotenza che costituisce le sbarre, ed una singola lampadina che illumina debolmente e senza pretese la stanza ,che si chiama nostalgia.
Perchè una discussione molto accesa con mia madre su un argomento tanto importante come l'unificazione dell'Italia non rappresenta nulla, mentre stendersi su di un letto, in lacrime e con accanto la tua migliore amica ti arricchisce così tanto?

mercoledì 3 marzo 2010

Accidia - La sconcia melma dell'esistenza

Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt


Non voglio tradurvi nulla. Non voglio parlarvi. Non voglio darvi alcuna importanza. Non voglio pensare. Non voglio alzarmi a mangiare. Non voglio portare la spazzatura qui fuori. Non voglio drogarmi. Non voglio uscire con gli amici. Non voglio vedere questo film. Non voglio leggere. Non voglio pensare alle cose che non voglio. Non voglio scrivere.


Non voglio spiegarvi nulla. Voglio solo che ve ne andiate. Lasciatemi da solo, in santa pace con il mio ... ed i miei ... perchè sono tutto ciò di cui ho bisogno ora. Anzi, portatevi pure i miei ... mi basta avere una scatola di ... sempre vicino a me. Probabilmente ... sarai ... vero? E che ci vuoi fare? Io non posso mica sempre ... tutto ... sai? Anzi, dato che ci sei mi butteresti fuori la spazzatura perchè ... posso farlo. ... a vanvera, io ... idiota. ... non capisci? ... il ... di fuori, quando ... a volte capita, anche a te sarà successo, vero? ... sono così vivo quando ... e quando non ... presentazioni a casa mia. Che poi qui è sempre tutto così ... quando cerco di ... e nessuno poi mi ... che senso avrebbe cercare di ... se poi non ... mai? Credo proprio che andrò a farmi un bel ... anzi, dato che sei seduto puoi andarci tu? Io sono già steso sul mio ... e mi alzerò solo per pisciare. Non ... che poi ti dia tanto fastidio ... in cucina un momento, sono solo ... o sbaglio? Dai, che poi ti ... il favore. ...


anzi guarda, senza che ti parli neppure, ti faccio dei gesti con l'indice e tu vai.


Insomma, quando faccio ... vuol dire proprio ... chiaro?! Non farmi ... perchè oggi non è proprio giornata. Ho ... di tutto, ... e poi ... senza contare che ...


E ora vuoi chiedermi di ... ?


Vaffanculo.


"Ma tu apri la bocca solo quando ti fa comodo mandarmi a fanculo?"


...