Begotten - 1991

lunedì 26 luglio 2010

Bellum Omnium Contra Omnes - 3

bNon ci volle molto tempo prima che qualcuno cominciò ad allarmarsi e a farsi domande:
Trovarono il cadavere della ragazza un mese dopo il fattaccio e tutti parlavano di noi. Naturalmente gli unici che sapessero che fossimo stati noi, eravamo noi 4, per fortuna. Chissà perché, nessuno stava sospettando della scuola militare, e tutti cercavano qualche maniaco ventisettenne alto e con i baffi...
Gli sbirri sono stupidi.
Me lo disse anche Gerald, mentre osservavamo da lontano:
«Ma questi, a cosa cazzo pensano? Se lo avessimo saputo...»
«Avremmo evitato anche la fatica di seppellirla?»
«Mi leggi nel pensiero, Cold!»
E nel frattempo le giornate passavano e così le settimane, i mesi. La polizia non ci venne mai a cercare, e il caso rimase irrisolto. Nel frattempo che le acque si calmavano, io, Gerald, Albert e Louis progettavamo di colpire tutti insieme, questa volta rubando armi da fuoco. Tre pistole, modello Beretta 92 e un fucile L85 (che finì in mano a Louis, per impedire a Gerald di abusarne.)
Così, nascondemmo le armi sottoterra, e attendemmo il tramonto per agire.
Riesumammo le pistole e ci fiondammo in avanti, senza aspettare Louis che stava preparando per bene il fucile. Come prevedevo, Gerald vide per primo la vittima: uno sbirro, alto e ben piazzato, se lo avessimo ucciso, pensai, sarebbe stato il nostro vanto per anni, il nostro trofeo di caccia.
Gerald si fiondò subito su di lui senza aspettare né noi, né il povero Louis che stava tardando ad arrivare.
«Buonasera agente!» Sorrideva
«Ehi ragazzino, vattene!» usò un tono annoiato e rabbioso insieme.
«Ma perché mai? Io... io non ho fatto proprio niente!» rideva già di gusto, mentre il poliziotto stava cominciando ad arrabbiarsi.
«Mi hai scocciato, cazzone. Ti faccio vedere io cosa significa prendersi gioco di un...»
«Ehi sbirro!» tuonò Louis dalle sue spalle.
«...Chi...» non ebbe il tempo di girarsi che si trovò il calcio del fucile di Louis scaraventato sul suo sporco muso da sbirro, cominciò a sanguinare prima di cadere a terra. Cercò di prendere la radiolina alla sua cintura e a quel punto gli fermai la mano con il piede sinistro, cercando di stritolargliela spostando tutto il mio peso su quella mano. Mi avvicinai a lui e raccolsi io l'apparecchio.
«Mi dispiace, bello mio, ma non è questa l'ora di ascoltare la radio, la gente presto dovrà andare a dormire...» mi rialzai e smontai il suo aggeggio mentre lui cercava di dimenarsi.
«Su, su... fai il bravo o non avrai il gelato.» gli mormorava Albert, incoraggiato dalle risate di Gerald.
«Sei un bambino cattivo, eh? Proprio non vuoi imparare le buone maniere!» gli urlò Gerald, prima di prenderlo a calci sulla spalla sinistra, Louis invece lo colpì di nuovo col calcio del fucile, stavolta allo stomaco. Dopo poco, non ebbe più la forza di divincolarsi troppo. In compenso tossiva e sanguinava parecchio.
«Che cosa volete da me?» chiese con quel poco fiato che gli rimaneva.
«Portiamolo dentro, qui qualcuno potrebbe vederci.» dissi io, e tutti approvarono.
Lo presi per il braccio destro, e ognuno si caricò un suo arto per spostarlo nel boschetto.
Giunti in un posto che sembrava più tranquillo lo poggiammo a terra, e ci allontanammo di qualche passo da lui. Cercò di alzarsi e scappare e a quel punto, Gerald gli sparò sulla gamba destra, così crollò a terra.
«Perché? Perché?» chiedeva in preda alle lacrime, mentre io miravo alla sua mano destra. Così rimase a terra, in preda al dolore per il proiettile che aveva trafitto la sua gamba e per quello che gli aveva praticamente rotto la mano.
Perse anche la forza di urlare, e dopo un po' di tempo passato ad osservare le sue ferite, spogliandolo dei suoi vestiti insanguinati, decidemmo di terminare il lavoro. Lo mettemmo in ginocchio, e Louis si mise con il fucile dietro la sua nuca.
«credi in Dio, sbirro?»
non rispose.
«D'accordo allora canteremo qualcosa per ricordarti, ti piace l'idea? Cosa ne dite ragazzi?»
Cominciai io
«The sun on the meadow is summery warm
The stag in the forest runs free
But gathered together to greet the storm
Tomorrow belongs to me
The branch on the linden is leafy and green
The Rhine gives its gold to the sea
But somewhere a glory awaits unseen
Tomorrow belongs to me!»
Louis gli fece saltare la testa, fra le nostre risate contornate dal canto nazista.

domenica 18 luglio 2010

La Quiete - Una sera in macchina

«Cioè, capisci cosa intendo?»
Non avevo ascoltato una sola fottutissima parola di quello che aveva detto Roberta.
«No, dai, zitta su.» risposi ridacchiando.
«Sei sempre il solito, Rick.» rispose lei a tono. Tutto questo mentre il buon Fabrizio continuava a guidare, cercando di non badare alla nostra amica Luisa stava amoreggiando con quel tipo lì, Corrado. Per tutta la serata ho cercato di liberarmi da quel pensiero assillante, quella frase ricorrente che in quel momento stava mordendo le mie sinapsi. E quelle di Fabrizio:
"Ma questo qui, da dove cazzo è uscito fuori?"
«Senza offesa Roberta, ma non ho capito cosa hai detto. Sono un po' sovrappensiero.» certo, i mormorii di quei due piccioncini, con la dolcezza paragonabile a quella che mi avrebbe donato una semiautomatica puntata alla mia tempia, in quel momento. Ovviamente dopo aver premuto il grilletto...
«Ti capisco, Rick...» mi sussurrò dolcemente. La sua voce è come balsamo per il mio povero cuore. Dio quanto ti amo, Roberta.
«Quanto la ami, Fabrizio?»
Tutto tacque.
«Cosa?» mi chiese lui. Aveva l'espressione di uno che non aveva capito sul serio.
«Lascia perdere...» lo congedai con un cenno della mia mano destra e passai il resto della serata a concentrarmi sul whisky che avevo bevuto.

DRIIIIN DRIIIIN

Mi svegliai, sbattendo le palpebre due volte mi ritrovai di nuovo in macchina. Era il mio cellulare, Ofelia mi stava telefonando.
«Pronto?»
«Ciaaaaao Ricky!!! Sono io!»
«Ehi, bella, ti senti meglio?»
«Un pochino... La febbre è scesa, ora ho...» prese tempo per leggere il suo termometro «Trentasette e otto!»
«Altri due decimi e avresti vinto un peluche!» risi.
«È Ofelia? Dille che la saluto!» tuonò Roberta dietro di me.
«Ti salutano Roberta, Fabrizio...» che invece era rimasto impassibile a guidare. «Luisa e Corrado...»(avevate ragione, c'era davvero Corrado!)
«Chi?»
«Un amico di Luisa...» Fabrizio sembrò accelerare di scatto.
«E Fabrizio come l'ha presa?» domandò lei con tono serio.
«Ahahah!» risi io. «Una schifezza...» sussurrai.
«Ah, capisco» sempre sorridente. «Tranquilli, tutti e due, sarà una fase passeggera...»
«Già. Ti voglio bene Ofelia.»
«Anche io ti voglio bene, Ricky.»
«Ehi ehi! Fammi parlare con la mia pinguina!» Roberta sobbalzò per ottenere un pezzo di telefono dalla mia mano.
«Ehi cara, c'è la nostra Roby che ti vuole salutare, un bacio, te la passo.»
«Ciaaaaao amore!!!» sorrise Roberta. «Mi manchi sai?» rispondeva sempre con tono quasi scherzoso quando parlava con Ofelia, velava con maestria tutti i suoi sentimenti con frasi tipiche delle "migliori amiche" in contesti affettuosi.
Mi rilassai per un attimo, grazie alla voce dolcissima di Ofelia, adagiando la mia nuca sui miei avambracci, e lasciandomi cullare dal moto irregolare dell'auto, fin quando non fui portato lentamente fra le braccia di Morfeo.
Sognai, durante quel pisolino. Ricordo un grande scivolo acquatico blu, dove io e Roberta scivolavamo insieme, con tutti gli altri che ci guardavano. Quando riemergevo dall'acqua, Roberta non c'era più, era sparita.

mercoledì 14 luglio 2010

La Quiete - Roberta

Non riesco ancora a crederci. Lei è morta, e il mio segreto con lei. Non riuscivo a serbarlo, non riuscivo a non dirglielo. Eppure non glie l'ho mai detto. Ti amo, Ofelia, sono ossessionata da te, non è mai passato un solo istante da quando ti ho conosciuta in cui non ho pensato a te. Non sospettavi neppure, secondo me. Sei morta e mi hai lasciato annegare in questo mare di amarezza, in questa desolazione ridicola...
Adesso è difficile non vomitare.
Nessuno ha voluto capirmi. Riccardo, che mi ha sempre mostrato tanto affetto mi ha dimenticata a casa mia, tutti avevano paura di non sapere cosa dire con me. Ma è tanto necessario parlare?
Io ho perso il lavoro, ho perso anche del peso. Ho passato tutti i giorni e tutte le notti a pregare di venir mangiata anche io dallo stesso cane che ti ha strappato via da me. Non smetto di chiamarti, Ofelia, voglio vederti ora, e dirti tutto ciò che avevo bisogno di farti sapere. Ma non ti mostri mai... Perchè, Ofelia? Hai paura di me ora che sai che sono lesbica? O forse non ti importa niente di me? Oppure non ci sei semplicemente più? Non esisti più Ofelia? Mio Dio... non posso pensarci, non voglio.
Ma cosa sto facendo? Che cosa ho fatto a Roberta?
Non sono sicura di sapere come ho fatto a chiamare Fabrizio... è subito venuto a casa e gli ho raccontato tutto, e lui è rimasto in silenzio. E ora? Dove sono gli altri e perchè non mi raggiungono? Ho talmente bisogno di loro adesso...
Mi ha raccontato , Fabrizio, che qualcuno pensasse che mi fossi uccisa... Non ho spazio per appendere corde al soffitto e sono completamente emofobica, non ce l'ho fatta. Ripensandoci ora avrei potuto chiudermi la testa in un sacchetto dell'immondizia, ma adesso non è più questa la soluzione che voglio. Rivoglio tutti i miei amici qui, sanno che ho bisogno di loro. Ofelia è morta e Riccardo mi ha abbandonata... mi ha abbandonata... mi ha abbandonata. Dove sei Riccardo? Perché non sei qui a darmi forza come facevi sempre mentre ero in difficoltà? Sei deluso perché non pensavi che la tua amica amasse un'altra donna e non te l'ho mai detto?
Torna qui Riccardo...
Mi manchi amico mio...

venerdì 9 luglio 2010

La Quiete - Riccardo

Mormorava a scatti, quasi come se non volesse farsi sentire rendendosi noiosa. Ma erano parole che voleva dire, voleva liberarsi da questo segreto, e nessuno poteva saperlo. E nessuno lo venne a sapere. Roberta amava Ofelia, e nessuno lo sapeva.
Quando venne a sapere della sua morte restò un mese a letto. Perse il lavoro, e per i suoi amici lei si era suicidata due settimane dopo il funerale di Ofelia. Se l'avessi vista durante quei giorni, ora vi saprei dire come stava ma... Secondo me non ha mai smesso di piangere, nemmeno mentre dormiva. Ma ovviamente questa è solo una mia opinione, una supposizione. Mi chiamo Riccardo, sono uno degli amici di Ofelia e di Roberta, sono un insegnante elementare. Con i bambini ho un rapporto speciale, cerco sempre di farli imparare senza mai aprire quel cazzo di sussidiario che la scuola ha deciso di dover adottare. Nessuno capisce un cazzo, mai. Ofelia era il nostro mondo, ed era il suo. Era il mondo di Roberta più che il mio, più che di Stefano o di Luisa, di Fabrizio o di Stefania. Lei la amava, e non glie l'ha mai detto. Non riesco a immaginare come si possa sentire. E in tutta sincerità, non voglio nemmeno provarci, ma che questo rimanga in confidenza fra noi. Lei amava Ofelia, e io lo sapevo. Avrei dovuto starle vicino... Avrei saputo farlo. E invece no, io ho deciso che non era compito mio, e per un mese lei è sparita. Si è presentata di nuovo fra noi chiamando Fabrizio, il primo numero sulla rubrica del suo cellulare.
Fabrizio, dal canto suo, si è sentito carico di responsabilità e quando ha cercato di avvertirmi che Roberta l'aveva chiamato, non riusciva a dirmelo. Ci girava intorno, ho dovuto persino tirare a indovinare per capirlo, pensa un po'. Mi ha detto in seguito, quando si era calmato, che era colpa mia. Mi ha preso in disparte e mi ha sussurrato all'orecchio queste parole:
«Non puoi farci niente... E se davvero la ami, perchè cazzo non l'hai aiutata in questo periodo?»
Non ho saputo rispondere. Me lo sono scrollato di dosso come avrei fatto per qualche foglia caduta dagli alberi in autunno, o come della neve che rende più pesante il cappotto che indosso. Io amavo Roberta e non ho saputo starle vicino.
La cosa che mi fa arrabbiare è che... Non ci ho nemmeno pensato, a quel punto.
Non fate come me. L'amore è tutto, vittima e assassino.

Talvolta anche giudice, e condanna.

Bellum Omnium Contra Omnes - 2

Presi la sigaretta e glie la spensi sulla fronte. I suoi occhi senza vita che mi guardavano, era un cadavere che mi scrutava.
«Dove la portiamo?» chiesi a Gerald, lui posò l'ascia gettandola a terra e girò il cadavere della ragazza con il piede sinistro.
«Lasciamola qui...» rispose
«Non scherzare, io non voglio che ci trovino.»
«No, caro mio, tu non vuoi che trovino te.»
Mi sorrise, raccolse l'ascia dal suolo e la osservò a lungo, mentre io mi sforzavo a pensare.
«Perché diavolo mi hai impedito di portare la pala dal campus?»
«E rendere il tutto meno divertente? »
«Eh eh, sei davvero un pazzo...»
Osservai il ventre a pezzi della ragazza che avevamo ucciso insieme con ventuno colpi di ascia, osservai il sangue sgorgare da quelle spaventose membra lacerate e mi sentii finalmente vivo. Sentivo di aver vendicato mio fratello, ucciso dalla società, dal diritto alla violenza che la società possiede e adopera a suo piacimento, senza scrupoli. La legge non è uguale per tutti: gli uomini sono uomini, mentre la società è onnipotente. Essa può creare e distruggere, lasciarti creare ma non distruggere, e non ti permette di decidere per te stesso. Non puoi usare te stesso e la tua proprietà come meglio credi, non puoi decidere arbitrariamente di farti del male, nè di fare del male. È la società a decidere per te cosa puoi fare,  cosa non puoi fare, e cosa devi fare. Ma per me e Gerald le cose non erano così. Gerald aveva semplicemente bisogno di mostrare a chiunque lo conoscesse che lui era Satana in persona, che era un vero mostro. Io... solo dimostrare che le cose non devono funzionare come la società decide.
«Si insomma, che cazzo facciamo ora, Cold?»
Mi bloccò nel mezzo dei miei ragionamenti «Cold?»
«Suona bene, e poi rende l'idea...» posò l'ascia dalla parte della scure sulla spalla, impugnandola con la mano destra.
«... Non possiamo mica lasciarla qui...»
«Ti preoccupi troppo, è un posto desolato, e poi se verranno a chiederlo dirò che sono stato io... Tu hai ancora la fedina pulita, daranno un'occhiata alla mia e mi metteranno su una fottuta sedia elettrica.»
«Che altro hai fatto?»
«Rissa.»
«Soltanto?»
Non rispose subito. Si chinò prima a controllare la carcassa della ragazza, poi tornò verso di me e ricominciò a parlarmi, mentre camminavamo verso il capanno degli attrezzi.
«Sarà meglio tornarla a prendere, quella cazzo di pala.»
Non mi stava nemmeno guardando. «Soltanto?» ripetei
«Soltanto cosa?»
«Rissa e stupro, è soltanto questo?»
«Oh, insomma... questo è quello che sanno...»
«E cos'è che non sanno?»
«Non rompermi i coglioni Cold...»
«Cristo, non fare così, sono curioso...»
«Ah, vaffanculo.»
«Dai Gerald, non te la prendere.»
«Non riesci a stare zitto per un attimo!?» Si infuriò, lasciò cadere l'ascia e mi fissò negli occhi.
«Ok... calmati, mi faccio i cazzi miei, non preoccuparti.»
«Ecco... Ora va meglio Cold, ora va meglio...»
Raccolse nuovamente l'ascia e continuammo a camminare. Non ho mai capito veramente cosa pensasse Gerald, né ho mai capito se fosse pazzo oppure solo violento, ma una cosa era certa: Non dovevo mai, in nessun caso, farlo arrabbiare. Proseguimmo in silenzio, fino a quando non incontrammo Albert.
«Teste di cazzo, fate presto a rientrare, che è quasi l'ora della sveglia...» ci disse.
«Ci serve solo la pala» rispose Gerald, anticipandomi.
«Ragazzi, non so se vi siete visti, ma vi conviene cambiarvi, o scopriranno tutto...» Mi guardai il pigiama che indossavo, e subito dopo mi accorsi che anche Gerald stava controllando le macchie di sangue sui suoi abiti.
«Hai ragione» risposi «Cercheremo di tornare in tempo per cambiarci, e buttare questi vestiti...» Gerald si avvio verso il capanno. Dal rumore capimmo che aveva lanciato l'ascia fra il resto della ferraglia senza curarsi di rimetterla in ordine o di pulirla. Tornò subito dopo con la pala fra le mani. «Al, facci un favore, prendi un po' di benzina e pulisci quella cazzo di ascia.» Al fece un cenno di intesa a Gerald, che mi si avvicinò.
«Andiamo a seppellire quella puttana di merda!» gridò
«Shhh! Cazzone, ci sentiranno!»